LAMBRÓSCH
Lambrósch. Da dove proviene questo nome di un’uva e del vino che se ne ricava? Quando si cerca l’etimologia di una parola si entra in un campo minato. Ecco due possibili spiegazioni di questo termine.
Al fôli, nel nostro dialetto, sono le favole o le storie un po’ fantasiose che si raccontavano durante i filôs nelle stalle. Le nostre fôle sono piccoli contributi, in forma scritta o di brevissimi video, che produciamo con cadenza mensile e diffondiamo in collaborazione con la biblioteca comunale “Pablo Neruda” di Albinea. Modi dire, proverbi, leggende, canti popolari e tanto altro ancora, secondo quello che la nostra curiosità, di volta in volta, ci suggerisce.
Contributi brevi però, anche perché tutti i reggiani hanno imparato fin da bambini che la fôla ed l’ôca l ē bèla s’l ē pôca.
Lambrósch. Da dove proviene questo nome di un’uva e del vino che se ne ricava? Quando si cerca l’etimologia di una parola si entra in un campo minato. Ecco due possibili spiegazioni di questo termine.
In questa breve Stôria dal Tabâr, Luciano Cucchi ci spiega perché in settembre il frinio dei grilli diventa più lungo e lamentoso. C’entra forse la fine della stagione degli amori?
Nell’antica Reggio, al tempo del Rinascimento, nell’area attorno all’attuale via Galgana, una conceria ammorbava l’aria. Ma come i fiori che nascono dal letame, da quelle parti nacque anche un pittore importantissimo per le sue opere a Valencia.
Un letterato e ricercatore di tradizioni popolari, Giuseppe Ferraro, raccolse il testo di una antichissima canzone popolare a Montericco di Albinea e la pubblicò nel 1901. Il testo è purtroppo privo di due versi, che stiamo cercando. Qualcuno li conosce?
Quando il cristianesimo si sostituì alle religioni pagane preesistenti, ai riti pagani dell’esaltazione della luce nella notte del solstizio d’estate si sostituì la simbologia dell’acqua. La rugiada della notte i San Giovanni arrivò a rappresentare l’acqua del battesimo e le si attribuirono poteri miracolosi e propiziatori.
La Bôrda era un animale, tra fantastico e mitologico, che abitava nel fondo di pozzi e dei tanti stagni (mêşer) dove veniva fatta macerare la canapa. Sebbene fosse spaventoso, alla fine aveva una missione molto importante. Ce lo spiega Luciano Cucchi in questa Stôria dal Tabâr.
Una Stôria dal Tabâr di Luciano Cucchi dedicata ai diversi significati della parola dialettale Lòuv. Li conoscete?
L ē dmèj fêr gòla che fêr pietê”. Questa espressione era utilizzata dalle famiglie che ostentavano un alto tenore di vita, sottolineando la generosità delle forme muliebri, simbolo di ricchezza, salute e benessere. Ce lo spiega questa Stôria dal Tabâr.
Una piccola lezione di grammatica dialettale tenuta dal fantasioso “professore” Luciano Cucchi, in una delle sue Stôrie dal Tabâr.
Il dialetto reggiano utilizza molte espressioni derivate dall’attenta osservazione degli animali per definire caratteristiche delle cose e delle persone. Quando il dialetto era la
Una Stôria dal Tabâr ispirata dal mito di Proserpina e Plutone, che riflette il ciclo morte-rinascita della terra, con preziosi inserti in dialèt arsân.
La lettura del piccolo saggio “C’era una volta la vigilia di Natale” del linguista, scrittore e traduttore Campeginese Riccardo Bertani ci ha ispirato questo componimento.
Questa è la piccola storia natalizia, liberamente tratto da un racconto orale, ideata da Luciano Cucchi per la serie delle Stôri dal Tabâr
La storia di Ginevra, figlia del Re di Scozia, è narrata nell’Orlando Furioso. Luciano Cucchi la reinterpreta nella sua Stôria dal Tâbar evidenziandone la grande attualità in questi tempi di misoginia.
Quando ancora non esisteva la TV e la pubblicità era semplice informativa, il dialetto reggiano aveva già elaborato tecniche per catturare l’attenzione dell’interlocutore, in modo simile a quanto Charles Dickens fa fare al suo personaggio Sam Weller.
Una filastrocca di Gianni Rodari tradotta in dialetto reggiano, affinché il dialetto possa essere insegnato piacevolmente anche ai bambini. In più, la complicata storia della maschera di Sandròun.
Una piccola fake-news per ambientare in terra reggiana l’origine dei cappelletti, prendendo a prestito Alessandro Tassoni e Giuseppe Ceri. Per onestà, viene raccontata anche la vera, sebben fantasiosa, storia della nascita dei tortellini: bolognesi o modenesi? Noi reggiani abbiamo i cappelletti e non entriamo nella diatriba.
Un’antica favola reggiana che i vecchi erano soliti raccontare ai bambini per giustificare le macchie scure che compaiono sulla faccia della Luna piena. Denis Ferretti l’ha fissata nella versione dialettale, come il nonno gliela raccontava, per la gioia dei bambini di oggi e per quelli del futuro.
Come il Capodoglio ammirato da tutti i bambini reggiani è arrivato nel Museo Lazzaro Spallanzani di Reggio in una ricostruzione un po’ fantasiosa e un po’ veritiera, come spesso sono le fôle che si raccontano.
Una breve e divertente favola raccolta dalla viva voce di Genoeffa Branchetti, nativa di Pratofontana di Correggio.
Una simpatica favola di Denis Ferretti per fare gli Auguri di Buon Natale a tutti gli amici di Léngua Mêdra.
Come sarebbero i dialoghi di un film poliziesco, stile “old America”, se fossero tradotti in un puro dialetto reggiano? Denis Ferretti li ha immaginato così!
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