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LÉNGUA MÊDRA

Rèș e la nôstra léngua arsâna

ACCENTI E PRONUNCIA

Rosa l’é na rosa, l’é na rosa, l’é na rosa…(*)
Mo seintel s’al rosa…
Dai, smetla ed durmir!
…e portom na rosa.
Però cl’an sia rosa,
t’al se cl ’am pies rosa!

*(Citazione da Gertrude Stein)

Versione Accentata
Mo sèintel s’al rósa…
Dai, smètla ed durmir!
…e portom na rōşa.
Però cl’an sia rôşa,
t’al sê cl’am piés ròsa!

Versione in Italiano
Ma senti come russa…
Dai, smettila di dormire!
…e portami una rosa.
Però che non sia rosa,
lo sai che mi piace rossa!

 

Versione in Dialetto recitata da L. Cucchi

Indicazioni per pronunciare correttamente il sistema Ferrari-Serra Da Grammatica del dialetto Reggiano di Ferretti Denis

Vocali toniche
Le vocali accentate in reggiano possono essere lunghe o brevi. Le lunghe durano il doppio delle brevi. Possono inoltre essere aperte o chiuse. Tutte le vocali toniche reggiane devono avere l’accento corrispondente al loro suono. L’accento acuto indica un suono breve e chiuso. Lo portano le vocali, é (quando ha un suono chiuso che si avvicina alla “i”) e ó (quando ha un suono chiuso che si avvicina alla “u”). L’accento grave indica un suono breve e aperto. Lo portano le vocali è (quando ha un suono aperto che si avvicina alla “a”) e ò (quando ha un suono aperto che si avvicina alla “a”). Le vocali ì, ù e à hanno un suono analogo a quello dell’italiano corrente. L’accento circonflesso indica un suono lungo e aperto. Lo portano le vocali, â, î, û, ô ed ê (quando hanno un suono aperto che si avvicina alla “a”). Il macron indica un suono lungo e chiuso. Lo portano le vocali ō ed ē quando hanno un suono chiuso.

â /a:/ a lunga câna canna, gât gatto, lât latte
à /a/ a breve  casa, papà papà,
ä srà, sarà
ê /ɛ:, æ:/ e aperta lunga sêl sale, pêder padre, fêr fare
è /æ/ e molto aperta breve dialèt dialetto, sèler sedano, mèter mettere
ē/e:/ e chiusa lunga mēter metro, segrēt segreto, pēder Pietro
é /e/ e chiusa breve préma prima, tétol titolo, afét affitto
î /i:/ i lunga fîl filo,  dito, sutîl sottile
ì /ı/ i breve malatìa malattia, vìa via, sìo zio
ô /ɔː/ o aperta lunga côl collo, tôr toro, şnôc ginocchio
ò /ɒ/ o molto aperta breve mònd mondo, andòm andiamo, ròt rotto
ō /o:/ o chiusa lunga fōgh fuoco, tarōl tarlo, tōr prendere
ó /o/ o chiusa breve mól mulo, rósch spazzatura, pót scapolo
û /ʋ:/ u lunga pûr puro, ä brûşa brucia, fûş fuso
ù /u/ u breve tùo tuo, sùo suo

Alcune osservazioni:
a un suono molto più aperto [æ:] prima della consonante “r”.
ì un tempo era pronunciata [ej] (mio = méjo). Oggi prevale la forma [‘ı] più simile all’italiano.
ù un tempo era pronunciata [óv] (tuo = tóvo). Oggi prevale la forma [‘u] più simile all’italiano.
û e ō in alcuni quartieri vengono pronunciati un po’avanzati, a metà tra i suoni italiani e quelli tipicamente lombardi (ü e ô).
Il grado di apertura e chiusura delle vocali “e” e “o” può variare da un quartiere all’altro, fino ai casi estremi in cui “é” si pronuncia “ì” e “ó” si pronuncia “ù”, come nella parlata di Cavriago.
All’opposto, nei comuni della bassa “ò” e “è” assumono un suono che si avvicina alla “à”.

Vocali non toniche
Le vocali non toniche non hanno l’accento.
Sono contrassegnate con la dieresi le vocali “eufoniche”, ovvero vocali (con grado di apertura variabile) che hanno il solo scopo di rendere possibile la pronuncia di due o più consonanti consecutive e che spariscono se la parola che segue o precede inizia con una vocale.

a /a/ come in italiano dialèt dialetto, cânbra camera,
a a (preposizione) ä /ɐ/ variabile tra “a” ed “e” ä (espansione intraducibile),
äl le, ät ti, äs ci, äm mi, äd di
e /ɛ/ e aperta stòmegh stomaco, servîr servire, per per (preposizione)
i /i/ come in italiano finîr finire, ôli olio, in in (preposizione)
o /ɔ/ o aperta tomana sofà, ôrob cieco, nôno nonno
ů /ʊ/ o molto chiusa půrtêr portare, ůrtîga ortica, ůspedêl ospedale
u /u/ come in italiano fuşîl fucile, môdul modulo, un un (preposizione)

Il suono ů in molti quartieri (compreso lo storico quartiere di Santa Croce) si fonde col suono “u”. In molti altri però i suoni sono nettamente distinti.
Nel prefisso des- (desfêr disfare, descômed scomodo, despès spesso) la e ha un suono chiuso. Le vocali nei monosillabi “in,per,un,a,äd” ecc. di fatto, all’interno della frase, si comportano in tutto e per tutto come vocali non toniche: “per mé” si pronuncia come se fosse una sola parola in cui la vocale tonica è l’ultima “e” accentata.

Dittonghi
èi /æj/ e molto aperta + i semivocale mèiş mese, bèin bene, pèil pelo, inglèiş inglese
òu /ɒw/ o molto aperta + u semivoc. bòun buono, còursa corsa, pa-dròun padrone, cròuş croce

Consonanti
Cia, ce, ci cio, ciu come in italiano: ciâcer chiacchiere, cêr chiaro, ci-chîn piccolino, ciôld chiodo, ciûş serraglio, box.
C finale di parola o davanti a consonante suono dolce: vèc vecchio, ôc occhio.
C’ davanti a consonante suono dolce: ůc’lèin occhiolino.
C davanti a consonante suono duro: bactêda bacchettata, clòmb co-lombo.
Ca, che, chi, co, cu come in italiano: cânbra camera, chêvra capra, chi chi, cōgh cuoco, cûra cura.
Ch finale di parola o davanti a consonante: suono duro: bréch ariete, pôch poco.
Gia, ge, gi, gio, giu come in italiano: giâs ghiaccio, gêra ghiaia, gîr giro, gióst giusto, giurêr giurare.
G finale di parola o suono dolce: mâg maggio, sèg seggio.
G’ davanti a consonante suono dolce pôg’ni? appoggiano?
Ga,ghe,ghi,go,gu come in italiano: gâra gara, ghégna faccia, ghirlân-da ghirlanda, gòcia ago, guardêr guardare.
Gh finale di parola o davanti a “l” o “n”, suono duro: bûgh bacato, lêgh lago, pêghni? pàgano?, dâghli dagliele.
S suoni simili alla s sorda italiana: sâs sasso, sapêr zappare, siôper sciopero, simitèri cimitero, sughêr asciugare.
Ş suoni simili alla s italiana sonora: şerbèin zerbino, şughêr giocare, mèiş mese, bûşa fossa.
S’c suona disgiunto: s’ciôp schioppo, rés’c rischio.
In alcuni quatieri il suono “v” è omesso o solo accennato (quindi rappresentato graficamente da un apostrofo), quando si trova vicino alla vocale “u”.
Es. Lavòur, la’urêr “lavoro, lavorare”; Vó,’uêter “Voi, voialtri”. Ma c’è anche chi dice lavůrêr e vuêter.
Tutte le altre consonanti hanno lo stesso suono italiano, mentre la Z, semplicemente, nel reggiano non c’é !

Il mistero della Z
Ovvero del come e perché nell’affrontare il dialetto reggiano scritto ci si imbatta in in tante e diverse varianti grafiche che cercano di esprimere foneticamente un suono che non c’é, quello della Z, che possiamo incontrare come:

ṣ – Ṣ – š – Š – ş – Ş – ž – Ž

Qui di seguito l’argomentazione sviluppata dal nostro Isarco Romani dal punto di vista squisitamente tipografico, per comprendere come abbiano potuto essere usate nel tempo varianti grafiche così diverse, e perché noi di Léngua Mèdra abbiamo optato per la scelta rigorosa di abbandonare definitivamente la Z a favore della S sorda espressa con Ş ed ş.

La lettera zeta in italiano ha due espressioni fonetiche:
la z sorda (mazzo, pazzo, pozzo, ecc.) e la z dolce o sonora (razzo, pranzo, organizzare).
Nessuna di queste due espressioni è presente (udibile) nel dialetto reggiano (cittadino). La z è stata usata nella letteratura reggiana, tradizionalmente, per esprimere la s sonora, dato che in italiano la lettera s ha di nuovo due valenze non graficamente differenziate, s dolce sonora (rosa), s sorda (sapone), e quindi non si poteva usare la s se non creando parecchia confusione; in italiano oltretutto ricorre la s sorda assai più che non la s sonora.
I testi dell’Ottocento e antecedenti potevano peraltro contare solo su composizioni tipografiche a caratteri mobili, nelle quali non erano disponibili segni speciali, almeno in Italia; diverso è il caso, ad esempio, del serbo-croato, che differenzia suoni dolci e sordi con l’aggiunta di accenti, beati loro!
Con l’avvento della composizione in linotype si sono aggiunte parecchie possibilità e sono comparsi, da ultimo, i tentativi di Ferrari-Serra di differenziare la s sonora (prima col pallino sotto , poi con l’avvento della fotocomposizione con l’accento “slavo” sopra Š), pur mantenendo la Z solo quando precede una vocale a inizio parola, ma questa scelta è stata a mio parere troppo timida e imprecisa perché non corrisponde sostanzialmente a una diversa pronuncia; infine Denis Ferretti (ma non è il primo né il solo, la usa anche Rentocchini, per quanto sassolese) ha codificato la Ş, con quella specie di cediglia sotto.
In ogni caso si tratta pur sempre di convenzioni, si potrebbe anche tornare alla zeta, specificando (dove e come?) che non va mai pronunciata come in italiano, ma è abbastanza fuorviante e rischierebbe di importare suoni estranei da parte di chi non fosse sufficientemente informato (la maggioranza).
Noi di Léngua Mèdra crediamo che l’adozione della grafia Ş possa infine avere anche una valenza “educativa” e risolutiva di una questione ormai secolare e ci si possa e debba abituare ad usarla sempre al posto della Z.
Isarco Romani

Concludiamo la trattazione della Z con il breve saggio di Denis FerrettiLA “Z” NEL REGGIANO, recentemente pubblicato dall’autore sulla Grammatica del dialetto Reggiano e visibile qui  sulla sua pagina in questo sito.