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Carlo GRASSI (1892 – 1965)

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Carlo Grassi (Reggio Emilia 1892-1965) venne definito da Ugo Bellocchi “l’ultimo vero poeta dialettale reggiano” e Mario Mazzaperlini aggiunse “e non si vede chi, alla sua altezza, sia in grado di continuare sulle sue orme”.
Fortunatamente, i timori  di ambedue questi studiosi si rivelarono infondati  e altri poeti sarebbero venuti dopo di lui  a mantenere viva la poesia dialettale reggiana.

*

Anche Carlo Grassi fu poeta molto amato dai reggiani, che conobbero la sua produzione poetica non solo attraverso i suoi libri, ma soprattutto per la sua vasta produzione dispersa in innumerevoli pubblicazioni.

 


 

Ugo Bellocchi, che fu un profondo estimatore di Carlo Grassi, sottolineò la modernità della sua poesia, sia per i temi che affrontava, sia per la lingua che utilizzava, spesso “contaminata da mille occasioni; ma ciò è fatale per chi si serve delle espressioni di oggi, non di quelle cadute ed imbalsamate nei vecchi testi“.
Una sfida per il dialetto che si è fatta ancora più pressante dopo i contributi di Grassi e con l’invasione di termini stranieri.

Così la zebra che cominciava negli anni ‘60 a segnalare i passaggi pedonali sulle vie più trafficate finisce per diventare la protagonista, assieme all’intraprendente  Sbaffiona,  in questa animata poesia di costume, Drama in streda meistra.

 

Drama in streda meistra

Per traverser Via Emelia in giourn ‘ed martedé,
Un tel ed la provincia al l‘à penseda acsé:

– Me spett un quelchdun eter in zema al marciapèe
E po’ quand al traversa senz’ etr’ egh vagh adrèe;

Perché ‘n soun miga pratich, e po m’fa mel un znoc,
E in dû s’fa un po’ piò dmei, perché muciòm quatr’oc.–

Infati dop un poo. l’à vest là d’cò a river
Un sgnour c’al gh’iva l’aria ed vreir atraverser;

Un sgnour cun tant d’ucièe, cal dziva deintr’ed sé:
– S’a passa cl’umett là, egh vagh dedree anca me;

Perché cun la me vesta, e i an che g’ò per zunta
Al res’c ed traverser l’é  brott, inst’oura ed punta! –


Acsé l’é gnû a truveres in zema al marciapiée
A tach a tach a cl’eter per mover cun lo’ i pée.

Intant l’e rivèe di eter: òm, dònn, trii frèe, dû vcett…
(In meno ed zinch minut es gh’in mucièe in dersett),

Mo’ agh n’era po’ eter tant in chl’eter marciapée,
Ed frount, e n’etra fila che gh’iven per dedrée.

L’era un spetacol bell, vedr’in coll spazi strett,
Totti ch’ el test prileres cme tant mariunett:

(A destra quand da destra na machina la gniva,
E a manca quand na machina da manca la se vdiva …)

E finalmeint l’é pers c’as pressa traverser.
– Passòmia? – l’à dett  un cl’era l’piò stoff d’aspter.

Aloura òm e dònn es moven, e in col strecch
Dl’incounter dell dou pert se sturlen come i brecch;

E per cumpir la giostra as seint al zigh rabious
Ed la Crous Veirda a cresser la dosa dal nervous.

– L’é che! – sbraien tott quant; sintii…temaledetta!
E infati l’ambulanza la vin cme na saietta,

La passa, la va via … e intant la prucissioun
Dell machin la s’arnova come na danazioun.

E ché ‘s ripet la fola : chi sbraia, chi brangogna,
Chi tira anch un quelch mochel, chi dis: L’é  na vergogna!

Fintant c’an selta fora un pezz ed donna incinta
Sbraiand cme na manzola cla fa vulter la ginta:

– Andom tott da San Peder, c’a gh’é na zebra bouna!
Là e passaròm, cm’e veira ch’em ciamen la Sbaffiouna!

Gnii tott cun me a la svelta, e mettiv bein in riga!
L’unioun la fa la forza! Al fiòm al roump la diga!

La streda la se svoda. L’esercit dla Sbaffiouna
Al va tott da San Peder, per via… dla zebra bouna!

*

Dramma nella strada principale

Per attraversare la via Emilia in un giorno di martedì

Un tale della provincia ha pensato così:

–Io aspetto qualcun altro sul marciapiede
poi quando lui attraversa senza indugio lo seguo;

Perché non sono pratico, e poi mi fa  male un ginocchio,
E in due si fa meglio perché abbiamo quattro occhi.

Infatti dopo un po’, ha visto da laggiù arrivare
Un signore con l’aria di volere attraversare;

Un signore con tanto di occhiali che diceva tra di sé:
–Se passa quell’ometto lo seguo anch’io;

Perché con la mia vista e gli anni che ho
È un brutto rischio attraversare, in questa ora di punta!

Così si è trovato sopra al marciapiede
Vicino all’altro per attraversare insieme.

Intanto sono arrivati altri: uomini, donne, tre frati, due vecchietti
(in men di cinque minuti erano diventati diciassette),

Ma poi ce ne erano altrettanti sull’altro marciapiede,
di fronte, e un’altra fila avevano alla spalle.

Era un bello spettacolo vedere in quello spazio stretto,
tutte quelle teste girarsi come tante marionette:

(A destra quando da destra una macchina veniva,
E a sinistra quando una macchina­ da sinistra  si vedeva… ).

E finalmente è sembrato che si potesse attraversare.
–Passiamo?– ha detto uno che era il più stanco di aspettare.

Allora uomini e donne si muovono e nella strettoia
Dell’incontro dei due flussi si cozzano come i caproni.

E per farla completa si sente il suono rabbioso
Della Croce Verde che fa crescere il livello della rabbia.

– E’ qui!– urlano tutti quanti; sentite.sii maledetta!
E infatti l’ambulanza arriva come una saetta.

Passa, va via …. e intanto la processione
Delle macchine ricomincia come una dannazione.

E qui si ripete la storia: chi urla, chi mugugna,
Chi dice anche una qualche bestemmia , chi dice: È una vergogna!

Fintanto che si fa avanti una donnona incinta
Urlando come una vitella facendo voltare la gente:

–Andiamo tutti a San Pietro, che c’è una zebra buona!
Là passeremo, come è vero che mi chiaman la Sbaffiona!

Venite tutti con me alla svelta e state ben in fila!
L’unione fa la forza! Il fiume rompe la diga!

La strada si svuota. L’esercito della Sbaffiona
Va tutto a San Pietro, per via …. della zebra buona!

 


 

Molti poeti reggiani hanno dedicato una poesia al commosso ricordo dei genitori morti, ma il sonetto  dedicato da Grassi a suo padre, perso quando lui era un bambino, si caratterizza per un insolito  finale:

 

Al me pover papà

Quand teimp l’ è già passé! Com l’ è luntan
Al dè che da l’ uspdel e s’ in gnû a dir
Ch’ et stev tant mel, che t’ er adrë murir,
Pover papà… et gh’ aviv treintenov an!

Me n’ iva sett, i-era elt soul pochi span,
Cus l’ è mort m’en priva mia capir,
Mo in dal veder la mama acsè a suffrir
I ò immagine cl’ era al piò gros di dan.

Dell volt e peins: se Dio l’ s’ farà incuntrer,
Dop la mort, cun i noster ch’ s’ in gnû manc,
Coll d’ me e me peder al srà un incounter cher!

Me ciamarò papà un bell zouven franc,
Dai cavi nigher c’am gnirà a baser,
E lò l’ ciamarà fiol un vecc tott bianch!

*

Al mio povero papà

Quanto tempo è già passato! Come è lontano
Il giorno che dall’ospedale ci sono venuti a dire
Che stavi molto male, che stavi morendo,
Povero papà…a avevi trentanove anni!

Io ne avevo sette, ero alto solo poche spanne,
cosa è la morte non lo potevo capire,
Ma nel vedere la mamma soffrire così
Ho immaginato che era il danno maggiore.

A volte penso : se Dio ci farà incontrare,
Dopo la morte, con i nostri che sono mancati,
Quello tra me e mio padre sarà un caro incontro!

Io chiamerò papà un bel giovane disinvolto,
Dai capelli neri che mi verrà a baciare,
E lui chiamerà figlio un vecchio canuto.

 


 

Tra i temi che hanno ispirato Carlo Grassi c’è anche il doloroso ricordo della guerra, della gioia popolare nel giorno in cui è finita. Ma non per tutti fu così:

La fin dla guerra al bouregh

Al bouregh l’ è in festa. I zouvn’ e i anzian
I in tott in dla streda a fer dal bacan.

Chi sbraia, chi canta, chi counta di fat;
Chi pianz da la gioia, chi red come un mat;

E souvra a tott quant cl’ insolit bacan
As seint a disteisa suner el campan.

Perché? Cs’ è sucess? Cus’ ela sta festa?
Cus’ è c’ a fa perder al popol la testa?

La vous dal canoun per seimper la tës,
L’ è gnû finalmeint al giouren dla pës.

Mo là in fond al bouregh a gh’ e na casleina,
Cun deinter ‘na medra cla pianz e c’ la peina;

Per lë  cla notezia l’é seinza valour:
Per chi eter l’ è gioia, per lë l’è dulour.

So fiol an gh’ è miga, mai piò l’ turnarà
A fer un po’ alegra – la povra so cà!

*

La fine della guerra al borgo

Il borgo è in festa. I giovani e gli anziani
Sono tutti in strada a fare del chiasso.

Chi urla, chi canta, chi racconta dei fatti;
Chi piange di gioia chi ride come un matto;

E sopra a tutto quell’insolita confusione
Si sente a distesa suonare le campane.

Perché? Cosa è successo ? Cos’è questa festa?
Cos’è che fa perdere al popolo le testa?

La voce del cannone per sempre si tace,
E’ arrivato finalmente il giorno della pace.

Ma laggiù in fondo al borgo c’è una casetta,
Con dentro una madre che piange addolorata…

Per lei quella notizia è priva di importanza:
Per gli altri è gioia ­ per lei dolore.

Suo figlio non c’è, mai più tornerà
A rendere un po’ allegra la sua povera casa!

*


 

Bibliografia
Opere di Carlo Grassi in dialetto:
● Vers e sbraj – Raccolta di poesie dialettali reggiane, Reggio Emilia : Nironi & Prandi1931
● Amour e bòot – Un atto burlesco in versi dialettali reggiani, 1932
● Lasém spuser chi m’pies! – Commedia giocosa in 3 atti , 1933
● Composizioni in versi dialettali reggiani, Reggio Emilia : Deroger1933
● La vous dal Crostel – Raccolta di poesie dialettali reggiane, Prefazione di Guido Laghi1945
● Pinocchio in arsan – Pinocchio del Collodi narrato ai ragazzi di Reggio Emilia in rime dialettali, 1952

Ugo Bellocchi, Il “volgare” reggiano. Origine e sviluppo della letteratura dialettale di Reggio Emilia e Provincia, vol 2,. 276-278, 1966 (Poligrafici)

 


 

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