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Elvira FANGAREGGI-CINGI (1894 – 1998)

Elvira Fangareggi Cingi all’età di 100 anni

 

Elvira Fangareggi Cingi è la prima voce femminile che si incontra nella storia della poesia dialettale reggiana.

Nacque a Reggio Emilia nel lontano 1894 e percorse tutto il ‘900, spegnendosi nel 1998.

Allieva prediletta di Clelia Fano, scrittrice e storica ammessa all’Accademia dei Lincei, fu maestra di scuola elementare per 36 anni.

*

In gioventù fu assidua frequentatrice del cenacolo letterario di Virginia Guicciardi Fiastri, famosa per le sue commedie comiche in dialetto riproposte poi da una terza donna cultrice del dialetto, Ennia Rocchi. Il dialetto si parlava allora in tutte le case, anche in quelle di persone benestanti come erano i genitori di Elvira.

Nella sua vita, per sua stessa dichiarazione, la poesia l’ha accompagnata giorno per giorno, come una specie di diario quotidiano. Elvira Fangareggi Cingi ha composto soprattutto poesie in lingua, molto apprezzate dalla critica, ma in tarda età volle ricordare in vernacolo la sua Vècia Rezz, la città dove “le vecchie strade” portano le orme dei suoi passi, e le selci logore” conoscono il peso di tanti suoi giorni (Clementina Santi).

“Le piazze brevi e ombrose o vaste ed assolate, le chiese raccolte, i monumenti (così nostri che … li conosciamo solo noi !), i viali  e le stradette discrete della periferia, testimoni di lontane tenerezze, i costumi, il folklore, persino … la gastronomia rivivono con le parole semplici, che ora sembrano arcane, di un tempo antico” – scrive Alcide Spaggiari nella prefazione alla raccolta.

 


 

Alfredo Gianolio intervistò Elvira Fangareggi Cingi nel 1981, in occasione della presentazione di Vècia Rezz e scrisse che “in Elvira  il passato tornava incessantemente , bussava insistentemente alla porta del presente, ma non per essere idealizzato, non per essere contemplato con le lenti della nostalgia”.  Ad una domanda provocatoria di Gianolio se preferisse la Reggio di oggi o la Reggio di ieri, la risposta di Elvira fu netta e immediata: “È incomparabilmente meglio la Reggio di adesso”.

La raccolta,  è impreziosita da alcune incisioni della figlia Anna Maria Cingi Serventi, pittrice.

 

Anna Maria Cingi, Piazza Fontanesi (particolare)

Vècia rezz

Vècia Rezz, et voi bèin!
Quand e tòuren déd via
e dal fnestréin dal treno
e ved spuntär pian pian
tôti el tô vèci tòri:
la Madòna, San Prosper,
San Pédér, al Burdèl
am sa ch’t ‘ém slòungh i braz
come s’ et fôss la mama!
Dal mond mé e n’ô già vést
e incòra am piez viazär
mô bel come turnär
da mez a ‘sti tô mur
an gh’é gnint, e’t’al giur!

*

Vecchia Reggio

Vecchia Reggio, ti voglio bene!

Quando torno da un viaggio
e dal finestrino del treno
vedo spuntare lentamente
tutte le tue vecchie torri:
la Madonna, San Prospero,
San Pietro, il Bordello
mi sembra che mi allunghi le braccia
come se tu fossi la mamma!
Del mondo ne ho già visto
e ancora mi piace viaggiare
ma bello come quando si torna
in mezzo ai tuoi muri
non c’è niente, te lo giuro!

*

 


 

Anna Maria Cingi, Piazza Fontanesi

 

Piaza Fontanesi

Una matèina ed festa
inanz dé e traverseva
la Piaza Fontanesi.
A slusineva apèina
e ded za ‘na fetlèina
ed luna e un bel sterlot
e fev’n un gran lusour.
An gh’era gnan n’armour:
una chiet, una pez!
Soul la funtana in mez
la ggiva sô la sua.
In col sileinzi fond
a’m pariva ques quesi
‘na vous ed cl’ eter mond!
Chi sa sa’m srev piazu
capir col ch’ la bruntleva.
S’l’é veira col ch’m’an dét
ca gh’ era un zimitèri
ché, propria in ‘sta spianeda,
la in cuntaré del bèli!
Am sà ed sintirla: « Vèdet,
ché gh’era i fiour da mort;
adèssa a gh’é l’urtaja,
la fruta e al dop mezdé,
tôta la rantumaja
di ragazô. I arzan
un teimp e gniven pian
zaquee, per arpunsares
ché per l’eternitee,
souvra i sô car tiree
magari da un sumer!
Adèssa a riva i camion
con la fruta: che féra!
e che rusari as seint!
Eter che i pater noster!
Mô i om, per chi du sold
e dvèinten di gran moster!
Soul ca pasa çeint an
e sran zaquee tôtt quant
i puvrètt come i sgnòur.. ».
Em sintiva i sgrisòur.
Am saìva, ques quesi
ed ved’r’ in di purtghin
degli ombri, chse soj mé….
La luna la’m paré
gnuda smorta anca lee…
Mô al çel al se s-ciarivaa
e al sòul al gniva sô,
al ciapeva i camein
e i copp col sô splendòur…
e m’sintiva un lavour..
e la ciamen poesia.
Mé e sô ch’ a’m gné bruntlee
per streda un’av maria.

*

Piazza Fontanesi

Una mattina di festa

prima di giorno attraversavo
Piazza Fontanesi.
Riluceva appena
e da questa parte una fettina
di luna e una bella stella luminosa
facevano una gran luce.
Non si sentiva nemmeno un rumore,
una quiete, una pace!
Solo la fontana in mezzo
diceva la sua.
In quel silenzio profondo
mi sembrava quasi quasi
una voce dell’altro mondo!
Chissà se mi sarebbe piaciuto
capire quello che brontolava.
Se è vero quello che mi hanno detto
che c’era un cimitero
qui, proprio in questa spianata,
ne racconterebbe delle belle!
Mi sembra di sentirla: «Vedi,
qui c’erano i fiori da morto;
adesso c’è la verdura,
la frutta e al pomeriggio,
tutta la marmaglia
dei bambini. I reggiani
un tempo venivano lentamente
sdraiati, per riposarsi
qui per l’eternità,
sui loro carri trainati
magari da un somaro!
Adesso arrivano i camion
con la frutta: che confusione!
e che rosario si sente!
Altro che i pater noster!
Ma gli uomini, per quei due soldi
diventano dei grandi mostri!
Fra cento anni
saranno stesi tutti quanti
i poveri come i signori…».
Mi sentivo i brividi.
Mi sembrava, quasi quasi
di vedere sotto i portici
delle ombre, o che so io….
La luna mi sembrò
diventata pallida anca lei….
Ma il celo si stava schiarendo
e il sole stava sorgendo,
illuminava i camini
e i tetti con il suo splendore…
e sentivo una sensazione ….
che chiamano poesia.
Io so che mi venne di mormorare
per strada un’avemaria.

 


 

Massimo Campigli, Donna allo specchio, 1934, olio su tela, Milano, Galleria d’Arte Moderna

 

I specc

El ca’ di noster vecc
di specc egh n’ iven poch.

Te vdiv souvr’al comò
‘na spcera mingherleina
con la curnisa ed leign
e sòta al sô castèin
per tgniregh i strigounn
che oltre al trèsi e al bèrbi
petnevn anch i sbafiòun.

Con na spazèta o dòu
i arnèis ed la tulèta
e i ern acsé al complêt
se et zunt un pan ‘d zavoun
ed col per la bugheda
adat per na sgrinceda.

A gh’era po in cuseina,
atac ai vedr, un specc
con la curnisa ed lata
cal ghiva la funzioun
ed vigiler atèint
ai… barbitunsamèint!

El ragazôli e gh’iven
i veder per miräres
de sfrus, quand’al papà,
la mama, al non, la nona
en n’eren mia lé pròunt
a dargh un bel scuplòt
da fargh un bel prilòt!

Av sa mô adess che dèga
un’esageraziòun?
Ev garantés che mé
i arcord chi scupazòun!
Perchè, a chi teimp, miräres
la péla fina e ròsa
i rizulein, se gh’eren,
i occ, e avèiregh vòja
d’esr un po blèini l’era
un pchè ed vanite!

Alòura l’era ed moda
la vécia mercanzia
che al mond modern al ciama
col nom d’ipocrisia.
Pudour, modestia, andòm,
l’è roba d’eter teimp!

E acsé, turnand ai specc,
‘na volta eren dal dievel
mo adess agh n’é un sconzòvi
e guai a chi n’s’ en guerda
per eser bein stilé!

Mô mé, se vriv ch’ev dèga
da vecia ed bouna lega
e peins: un teimp almanc
se el gambi e tgniven cöcc
e al stomgh al funziuneva
ed cavî bianc e ed rughi
ques quesi un gnan s’n’adeva;
mo adess con tôtt chi specc
che gh’in fin dal masler
come faréset, dé,
a scurdäret d’invciär

*

Gli specchi

Le case dei nostri vecchi

di specchi ne avevano pochi.

Vedevi sopra al comò
una piccola specchiera
con la cornice di legno
e sotto il suo piccolo cassetto
per tenervi i pettini
che oltre alle trecce e alle barbe
pettinava anche i baffoni.

Con una spazzola o due
gli attrezzi della toeletta
erano già al completo
se aggiungi un pane di sapone
di quello per il bucato
adatto per una ripulita.

C’era poi in cucina,
attaccato ai vetri, uno specchio
con la cornice di latta
che aveva la funzione
di vigilare attento
ai ….tagli della barba.

Le ragazze avevano
i vetri per guardarsi
di nascosto, quando il papà,
la mamma, il nonno e la nonna
non erano lì pronti
a dare  un bel scapaccione
da farti fare una bella piroetta!

Vi sembra adesso che dica
un’esagerazione?
Vi garantisco che io
me li ricordo quegli scapaccioni!
Perché, a quei tempi, guardarsi
la pelle fina e rosa,
i riccioli, se c’erano,
gli occhi, o avere voglia
di essere un po’ belline era
un peccato di vanità!

Allora era di moda
la vecchia mercanzia
che il mondo moderno chiama
con il nome d’ipocrisia.
Pudore, modestia, andiamo,
sono cose di altri tempi!

E così, tornando agli specchi,
una volta erano del diavolo
ma adesso ce n’ è una moltitudine
e guai a chi non si guarda
per essere ben in stile!

Ma io, cosa volete che vi dica
da vecchia di buona lega
penso: un tempo almeno
se le gambe reggevano
e lo stomaco funzionava
dei capelli bianchi e delle rughe
quasi quasi uno nemmeno se ne accorgeva;
ma adesso con tutti questi specchi
che ce ne sono perfino dal macellaio
come faresti, dimmi,
a dimenticarti d’invecchiare?

 


 

Bibliografia
Vècia Rezz – Elvira Fangareggi Cingi, Prefazione di Alcide Spaggiari, Tecnograf 1981

Parole e Immagini – Elvira Fangareggi Cingi – Anna Cingi Serventi, a cura di Alfredo Gianolio, presentazioni di Clementina Santi e Massimo Mussini. Vittoria Maselle Editore, 2013

 


 

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