Il mistero della Z che, semplicemente, nel reggiano non c’é !
Ovvero del come e perché nell’affrontare il dialetto reggiano scritto ci si imbatta in in tante e diverse varianti grafiche che cercano di esprimere foneticamente un suono che non c’é, quello della Z, che possiamo incontrare come:
ṣ – Ṣ – š – Š – ş – Ş – ž – Ž
Qui di seguito l’argomentazione sviluppata dal nostro Isarco Romani dal punto di vista squisitamente tipografico, per comprendere come abbiano potuto essere usate nel tempo varianti grafiche così diverse, e perché noi di Léngua Mèdra abbiamo optato per la scelta rigorosa di abbandonare definitivamente la Z a favore della S sonora espressa con Ş ed ş.
La lettera zeta in italiano ha due espressioni fonetiche:
la z sorda (mazzo, pazzo, pozzo, ecc.) e la z dolce o sonora (razzo, pranzo, organizzare).
Nessuno di questi due fonemi è presente (udibile) nel dialetto reggiano (cittadino). La z in passato è stata usata graficamente nella letteratura reggiana, per esprimere la s sonora, dato che in italiano la lettera s ha di nuovo due valenze non graficamente differenziate, s dolce sonora (rosa), s sorda (sapone), e quindi non si poteva usare un unico segno s se non creando parecchia confusione, vista anche l’importanza e la notevole ricorrenza della s sonora nel lessico reggiano; in italiano oltretutto ricorre la s sorda assai più che non la s sonora.
I testi dell’Ottocento e antecedenti potevano peraltro contare solo su composizioni tipografiche a caratteri mobili, nelle quali non erano disponibili segni speciali, almeno in Italia; diverso è il caso, ad esempio, del serbo-croato, che differenzia suoni dolci e sordi con l’aggiunta di segni diacritici ad alcune consonanti, beati loro!
Con l’avvento della composizione in linotype si sono aggiunte maggiori possibilità e sono comparsi, da ultimo, i tentativi di Ferrari-Serra di differenziare la s sonora col pallino sotto (Ṣ); poi con l’avvento della fotocomposizione si è ricorsi all’accento “slavo” sopra (Š), pur mantenendo la Z solo quando precedeva una vocale a inizio parola, ma questa scelta è stata forse un po’ timida e imprecisa perché non corrispondeva sostanzialmente a una diversa espressione fonetica; infine Denis Ferretti (ma non è il primo né il solo, la usa anche Rentocchini in poesia, per quanto sassolese) ha codificato la Ş, con la cediglia sotto.
In ogni caso si tratta pur sempre di convenzioni, si potrebbe anche tornare alla zeta, specificando (dove e come?) che non va mai pronunciata come in italiano, ma sarebbe abbastanza fuorviante e rischierebbe di importare suoni estranei da parte di chi non fosse sufficientemente informato.
Noi di Léngua Mêdra crediamo che l’adozione della grafia Ş possa infine avere anche una valenza “educativa” e risolutiva di una questione ormai secolare e ci si possa e debba abituare ad usarla sempre al posto della Z e di altri segni diacritici alternativi applicati alla S quando si voglia indicarne il suono dolce.
Concludiamo la trattazione della Z con il breve saggio di Denis Ferretti, LA “Z” NEL REGGIANO, recentemente pubblicato dall’autore sulla Grammatica del dialetto reggiano, visibile qui sotto la “Pagina di Denis”.d