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LÉNGUA MÊDRA

Rèș e la nôstra léngua arsâna

AL BAVÓL DAL PARÒLI ARŞÂNI

Qui di seguito il nostro repertorio delle parole “reggiane” proprie del nostro dialetto, sia per vocabolo che per significato ad esso attribuito, corredate della traccia audio con la dizione dialettale corretta.

Completano questo Bavóll altri due repertori altamente specialistici quali:
– Il Repertorio delle ÊRBI E PIANTI ED RÈŞ ► con 800 termini dialettali, e
– Il Repertorio de I UŠÉE ARŞÂN ► con altri 160 termini dialettali.

Inoltre uno studio comparato del nostro Isarco Romani ha identificato quello che abbiamo definito lo “SCRÉGN IN DAL BAVÓL ►” , le circa 100 parole del nostro dialetto che sono solo nostre e che non si trovano con le stesse accezioni nei dialetti confinanti Modenese e Parmigiano.

Speriamo vogliate contribuire in tanti ad arricchire questi contenuti.

A | B | C | D | E | F | G | I | L | M | N | O | P | Q | R | S | S1 | S2 | S3T | U | V | Z 

A | B | C | D
 E | F | G | I
 L | M | N | O
 P | Q | R | S | S1 | S2 | S3 |
 T | U | V | Z |

T

tabachêr

svignarsela velocemente, fuggire

tacagnîn

litigioso, facile attaccalite

tachêda

foggia di abbigliamento per occasioni o feste, vistosa od eccentrica

tacòun

strato appiccicoso, anche di sporcizia

tajōla

cuneo; ed tajōla = di sguincio

tamógn

piuttosto resistente (oggi diremmo resiliente)

tapêda

grande mangiata, sbafata;  anche participio passato di tapêres

tapê, tapêres

agghindato, agghindarsi; abbigliarsi in modo particolarmente elegante o vistoso

tapêr

mangiare in gran quantità, pappare

taraghégna

individuo litigioso, attaccabrighe

tavân (êlba di)

tafano (all’alba dei = tardi)

tènder

occuparsi, accudire, badare, vigilare

tevdûra

tridura (uova sbattute con il formaggio)

tgnés

consistente; costante, perseverante; cocciuto, ostinato

tirêr só

crescere, allevare; formare professionalmente; forte inspirazione dal naso

titîn

infantile per capezzolo, sia singolare che plurale

tōr adrē

prendere con sé, portare con sé

tōr só

raccogliere (nell’orto), prendere con sé, ma anche del prendere abitudini o vizi; apprendere

tōr şò

fotografare, ritrarre, annotare, prendere di mira

tōres só

prendersi su, uscire, allontanarsi; dare inizio, principiare da capo

tōres şò

litigare con qualcuno, smettere di andare d’accordo, rompere l’amicizia, ròmpres in bòca

tōrsla

rigonfiamento da puntura (zanzara, ortica)

trabiscân

ciarlatano, truffatore, personaggio sinistro

tragatèin

traffichino, faccendiere, maneggione

trâmpel

trabiccolo, aggeggio complicato e non affidabile

tramplêr

pasticciare, fare lavoretti poco significativi o di scarsa utilità

tramplòun

maldestro, grossolano nell’agire, casinista impegolato in vari traffici

trapéch

tracollo, perdita d’equilibrio

trêr só

togliere il bucato lasciato in ammollo per completare il lavaggio con le altre fasi

trîd

consunto; di poco valore; triste

tronêda, trunêda

forte rumore di tuono preceduto da lampi

trusêra

terriccio mescolato al concime organico

tuşòun
tosatura di formaggio fresco
tvaja, tvajōl
tovaglia, tovagliolo

U

umèt

gruccia, attaccapanni; manichino per sarti; birillo, ometto del biliardo

uşvéj

utensile, arnese; birichino; pene

V

vairòun

vairone, pesce d’acqua dolce simile al cavedano

vansêr

evitare di fare, fare senza; anche avanzare nel senso di residuare

vîda

vite (sia pianta che meccanica)

vōd, vōda

vuoto, vuota (anche di mucca non gravida)

vşèin, (anche aşvèin e avşèin)

vicino

vudêr
vuotare, ma anche versare

vulôt

allegro, arzillo; sensibile al fascino femminile

Z

Il mistero della Z che, semplicemente, nel reggiano non c’é !

Ovvero del come e perché nell’affrontare il dialetto reggiano scritto ci si imbatta in in tante e diverse varianti grafiche che cercano di esprimere foneticamente un suono che non c’é, quello della Z, che possiamo incontrare come:

ṣ – Ṣ – š – Š – ş – Ş – ž – Ž

Qui di seguito l’argomentazione sviluppata dal nostro Isarco Romani dal punto di vista squisitamente tipografico, per comprendere come abbiano potuto essere usate nel tempo varianti grafiche così diverse, e perché noi di Léngua Mèdra abbiamo optato per la scelta rigorosa di abbandonare definitivamente la Z a favore della S sorda espressa con Ş ed ş.

La lettera zeta in italiano ha due espressioni fonetiche: la z sorda (mazzo, pazzo, pozzo, ecc.) e la z dolce o sonora (razzo, pranzo, organizzare). Nessuna di queste due espressioni è presente (udibile) nel dialetto reggiano (cittadino). La z è stata usata nella letteratura reggiana, tradizionalmente, per esprimere la s sonora, dato che in italiano la lettera s ha di nuovo due valenze non graficamente differenziate, s dolce sonora (rosa), s sorda (sapone), e quindi non si poteva usare la s se non creando parecchia confusione; in italiano oltretutto ricorre la s sorda assai più che non la s sonora. I testi dell’Ottocento e antecedenti potevano peraltro contare solo su composizioni tipografiche a caratteri mobili, nelle quali non erano disponibili segni speciali, almeno in Italia; diverso è il caso, ad esempio, del serbo-croato, che differenzia suoni dolci e sordi con l’aggiunta di accenti, beati loro! Con l’avvento della composizione in linotype si sono aggiunte parecchie possibilità e sono comparsi, da ultimo, i tentativi di Ferrari-Serra di differenziare la s sonora (prima col pallino sotto , poi con l’avvento della fotocomposizione con l’accento “slavo” sopra Š), pur mantenendo la Z solo quando precede una vocale a inizio parola, ma questa scelta è stata a mio parere troppo timida e imprecisa perché non corrisponde sostanzialmente a una diversa pronuncia; infine Denis Ferretti (ma non è il primo né il solo, la usa anche Rentocchini, per quanto sassolese) ha codificato la Ş, con quella specie di cediglia sotto. In ogni caso si tratta pur sempre di convenzioni, si potrebbe anche tornare alla zeta, specificando (dove e come?) che non va mai pronunciata come in italiano, ma è abbastanza fuorviante e rischierebbe di importare suoni estranei da parte di chi non fosse sufficientemente informato (la maggioranza). Noi di Léngua Mêdra crediamo che l’adozione della grafia Ş possa infine avere anche una valenza “educativa” e risolutiva di una questione ormai secolare e ci si possa e debba abituare ad usarla sempre al posto della Z.

Concludiamo la trattazione della Z con il breve saggio di Denis FerrettiLA “Z” NEL REGGIANO, recentemente pubblicato dall’autore sulla Grammatica del dialetto reggiano, visibile qui sotto la “Pagina di Denis”.