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UN PO’ DE STÔRIA

 

        Umberto Boccioni: Dinamismo di un ciclista, 1913

 

«L’idea di una città in cui prevale la bicicletta non è pura fantasia».
Marc Augé

 

Quando ero un ragazzo, la bicicletta di mio nonno, la più vecchia che avessi mai visto, sicuramente antecedente la seconda guerra, era per me l’unico “segno” che la bicicletta, intesa come nuovo mezzo di locomozione, potesse avere avuto una sua “storia”. Certamente avevo visto fin da ragazzo le immagini di quel curioso antenato della bicicletta che era il biciclo, ma non mi ero mai chiesto fino ad ora cosa avesse realmente rappresentato la bicicletta per la nostra società a partire dalla fine dell’ottocento e poi via via fino ai giorni nostri.

La prima “vera” bicicletta,  con due ruote della stessa dimensione e un sistema di trazione che collega i pedali alla ruota posteriore tramite una catena, venne prodotta nel 1885 con il nome Rover. A differenza del “mostruoso” biciclo, alto fino a 3 metri e tanto pericoloso da essere stato vietato dal Comune di Milano, la nuova macchina, inventata da John K. Starley, era molto più sicura e per questo venne battezzata safety bicycle.

Poco dopo, un medico scozzese, John Dunlop, produsse il primo pneumatico a camera d’aria (1889) e André Michelin, in Francia, il primo pneumatico smontabile (1891).

Finalmente, sul finire del XIX secolo la bicicletta era dotata di tutte le sue principali componenti che ancor oggi possiamo trovarvi. Finalmente, trovò anche il suo nome definitivo, perché per qualche tempo venne chiamata macchina, poi ci fu indecisione se chiamarla bicicletto o bicicletta. Alla fine prevalse il termine al femminile, come in francese, ma certamente preferito anche perché psicologicamente aveva a che fare con qualcosa che stimolava il desiderio maschile. Non a caso la pubblicità preferita dai produttori di biciclette d’oltralpe accostava alla bicicletta immagini di donne in abbigliamento molto succinto, cosa che in Italia non avvenne. Tuttavia, che l’erotismo della bicicletta fosse nell’aria e ben percepito anche da noi lo si capisce anche da questi versi maliziosi di un poeta che nel 1894 su una rivista dedicata alla bicicletta si firmava Argo:

Per me lo dico a tutti, io la considero
La sposa mia, l’amante prediletta,
Ed è per questo che chiamar desidero
Il bicicletto ancora bicicletta.
Per le signore sia la desinenza
Ed il genere sia sempre maschile
Ma resti a noi però di conseguenza
Il piacere di montare il femminile.

L’arrivo della bicicletta fu una rivoluzione che oggi facciamo fatica ad immaginare. Per la prima volta nella storia ci si poteva spostare velocemente da un luogo all’altro, con molta maggiore flessibilità rispetto al treno, senza aver bisogno di un animale per il traino o di benzina per un motore. Fin dalla comparsa del biciclo, le due ruote favorirono la nascita di una nuova pratica sportiva, con competizioni a volte su distanze disumane, tanto più pensando alla condizione delle strade e alla pesantezza del mezzo e dell’equipaggiamento.

Nelle città spuntavano i club di ciclisti, promotori di gite domenicali per i primi appassionati nonché le prime “piste”: a Reggio Emilia il primo presidente del Veloce Club cittadino fu il prof. Naborre Campanini, letterato, grande animatore della vita culturale cittadina. Presso i Giardini pubblici già nel 1895 esisteva una pista di 600 m di lunghezza dove si svolgevano “corse ciclistiche popolari”.

 

 

In Francia, la prima corsa di gran fondo del ciclismo si svolse il 23 maggio 1891, da Bordeaux a Parigi, per un totale di ben 572 Km, con 28 concorrenti. Il vincitore impiegò 26h34’57”!

In Italia, nel 1890, si corse il primo campionato italiano sul percorso Treviso-Pordenone-Treviso di 120 Km, valido come prima edizione del campionato italiano.

Il vincitore fu Carlo Braida, che vinse “non solo seminando gli avversari ma dimostrando il valore dell’equipaggiamento e del rifornimento. Lasciò gli altri irrorarsi d’acqua con effetti a breve scadenza, mentre lui si cambiava maglia e beveva brodo caldo e uova fresche” . [L. Serra, I giganti della strada. Il ciclismo “eroico” 1891-1914, Ed. Diabasis, 1996].

 

                             Carlo Braida

 

Curiosamente automobile e bicicletta, oggi così antitetiche tra di loro, ebbero un’origine parallela e molti furono i produttori di biciclette prima e auto poi, ad es. Edoardo Bianchi in Italia, la Peugeot in Francia, l’Opel in Germania.

Auto e biciclette favorirono la nascita del turismo, imposero un miglioramenti delle condizioni stradali e resero possibili contatti e relazioni sociali tra persone distanti. La differenza di costo tra i due mezzi era tale che ci sarebbero voluti alcuni decenni prima che l’automobile diventasse popolare, mentre la bicicletta lo fu dopo soli pochi anni. La sua diffusione interessò soprattutto il Nord Italia e la pianura padana in particolare,  per la favorevole conformazione del terreno ma anche per ragioni sociali più profonde, come la crescita della classe operaia  che poteva disporre di un efficiente mezzo di locomozione.[S. Pivato, Storia sociale della bicicletta, 2019]

Questo successo, fu anche dovuto agli entusiastici racconti delle emozioni trasmesse dalla bicicletta, in particolare quella di Alfredo Oriani, autore di uno dei primissimi libri dedicati al nuove mezzo:

Alfredo Oriali, La bicicletta, 1902
“Il piacere della bicicletta è quello stesso della libertà, forse meglio di una liberazione. Andarsene ovunque, ad ogni momento, arrestandosi alla prima velleità di un capriccio, senza preoccupazioni come per un cavallo, senza servitù come in treno. In bicicletta siamo ancora noi che vinciamo lo spazio e il tempo; stiamo in bilico e quindi nella indecisione di un giuoco colla tranquilla sicurezza di vincere: siamo soli senza nemmeno il contatto colla terra, che le nostre ruote sfiorano appena, quasi in balia del vento, contro il quale lottiamo come un uccello”.

Negli anni successivi si susseguirono molte modifiche ai singoli componenti della bicicletta, come i freni e l’introduzione della ruota libera. Naturalmente, uno dei cambiamenti di maggior importanza fu l’invenzione del cambio, del quale ne vennero prodotti innumerevoli modelli diversi.

La bicicletta, da strumento di svago o di competizione, divenne strumento per andare a lavorare e per lavorare, con infinite varianti a seconda delle longitudini e dei tempi: militari, postini, arrotini, gelatai, ambulanti, risciò e via via altre categorie di lavoratori la utilizzarono a questo scopo, fino ai giorni nostri in cui vediamo sfrecciare nelle strade le biciclette dei food-pony.

Dopo una certa caduta di interesse per questo mezzo di locomozione nel periodo compreso fra la fine degli anni ’50 ai primi anni ’70 del secolo scorso, coincidenti con il successo degli scooter e dell’automobile, la bicicletta tornò a guadagnare importanza a partire dal 1973, anno in cui l’Occidente conobbe la prima crisi energetica.

Anche dal punto di vista della riflessione sociologica la bicicletta s’impose allora all’attenzione dell’opinione pubblica con il saggio Elogio della bicicletta di Ivan Illich (1973) e con il successivo Il bello della bicicletta di Marc Augé, entrambi filosofi e antropologi,

Negli ultimi anni la bicicletta si è fatta pieghevole, facilmente trasportabile, per consentire una mobilità integrata con altri mezzi a basso impatto ambientale, come il treno e la metropolitana. Un’idea che in Italia venne proposta per la prima volta dal designer Rinaldo Donzelli e prodotta a partire dal 1964 dalla fabbrica Carnielli di Vittorio Veneto, e nota con il nome di Graziella, “la bicicletta di Brigitte Bardot”.

 

 

Per il momento l’ultima evoluzione sembrano essere le biciclette a pedalata assistita o “biciclette elettriche”, mezzi certo di scarso interesse per i puristi della bicicletta ma che danno la possibilità di continuare a pedalare a persone anziane o quando le strade sono  disagevoli per la presenza di saliscendi. Ma l’evoluzione della tecnologia preparerà certamente nuove sorprese per i ciclisti del futuro.

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