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ELOGIO DEL LINGUAGGIO E DELLA PAROLA

Associazione Culturale
Carmen Zanti
Cavriago

Libera Associazione
Léngua Mèdra
Reggio Emilia

ELOGIO DEL LINGUAGGIO E DELLA PAROLA

Presentazione del rinnovato

Vocabolario del Dialetto di Cavriago
Edizione 2022

2 Dicembre 2022
a quarantasette anni dall’assassinio
di Pier Paolo Pasolini

Appunti-guida di R o l a n d o  G u a l e r z i

    1

IL BILANCIO SUL BENE PIU’ PREZIOSO PER LE
PERSONE E GLI ABITANTI DI CAVRIAGO

Questa sera qui a Cavriago di Reggio Emilia, alle ore 20,45 sono riunite circa 80 persone, tra uomini e donne.

Si tratta del Consiglio di Amministrazione della léngua mêdra di Cavriago, in rappresentanza dei 9.900 azionisti-cittadini/residenti nel territorio, distribuiti in un’area di 17 km quadrati. Cavriago è il secondo comune più piccolo della provincia di Reggio Emilia per superficie territoriale, posto al limite meridionale della pianura padana, dove si annunciano ormai le prime colline.

Viene presentato qui agli Azionisti rappresentanti dei quasi diecimila cavriaghesi il Bilancio al dicembre 2022 del Bene più prezioso del territorio: la lingua madre di Cavriago.

   Saranno accennate, a titolo d’esempio, alcune parti dello Stato patrimoniale, del Conto Economico con entrate e uscite e della Nota Integrativa al Bilancio che si trovano tutte nell’aggiornato “VOCABOLARIO DEL DIALETTO DI CAVRIAGOche viene presentato.

 

 

   Il precedente vocabolario è stato elaborato nel 1987: trentacinque anni fa; oggi ristampato con aggiornamenti per essere scambiato nei suoi beni preziosi che sono:

  • le parole del dizionario,
  • i nomi propri più comuni a Cavriago,
  • alcune filastrocche,
  • canzone di Cavriago,
  • modi di dire proverbiali
  • Il compito di tutti gli azionisti consapevoli e inconsapevoli è il LEGAME che la lingua consente e promuove: 

  • salvaguardare il Patrimonio avuto in eredità
  • non disperderlo
  • farlo fruttare e crescere
  • prepararsi al prossimo Bilancio

Un valore che deve essere curato con passione perché la parola è pensiero vivente.

***
E nessuna cosa è dove la parola manca!!!!

2

I CAVRIAGHESI SONO GLI ARRISCHIANTI DEL LINGUAGGIO: CON LE LORO PAROLE
CUSTODISCONO E SI SCAMBIANO IL BENE PIU’ PREZIOSO CHE HANNO

Il linguaggio è quell’evento che dispone della suprema possibilità dell’esserci: essere dell’uomo-donna sulla terra. L’unico Ente (l’umano) che diviene storico perché può dire e descrivere l’essere al mondo, e l’esserci stati prima nelle migliaia di generazioni che l’hanno preceduto.

Le donne e gli uomini,  bambine e bambini si parlano in quanto ascoltano. Questo parlare ascoltando e recependo è il nostro cor-rispondere.
Come strumento adatto a questi scopi, il linguaggio è un ‘bene’. Ma è un “bene” in un senso anche più originario di come noi lo intendiamo, seppur nel suo straordinario mezzo per comunicare.

Se è vero che l’uomo ha nel linguaggio la sua più autentica casa, che ne sia consapevole oppure no, è proprio nel linguaggio, (e nel parlare/ascoltare/scrivere/leggere le almeno 2 lingue che si conoscono) che ogni giorno i cavriaghesi si ri-trovano ad esistere come donne e uomini, in questa terra, con le innumerevoli emozioni, in mondi che mano a mano, parola per parola, si costruiscono e si dicono e si rappresentano. Tutto questo in virtù del linguaggio.

Noi pensiamo in quanto abbiamo il linguaggio.

Quante volte facciamo l’esperienza di parlare con qualcuno che è di fronte a noi e questo parlare ci porta a nuovi pensieri mai ‘pensati’ prima; pensieri che “sgorgano”, soprattutto quando l’ascolto di chi ci ascolta è esigente.

 Parla prima di pensare !!!

*
“Le parole che sgorgano conoscono di noi molto di più di quello  che noi conosciamo di loro”

3

LINGUA E PATRIA PER UNA RIPETUTA ETERNITÀ

La “Piccola Patria” entra mai come ora nel dibattito attualissimo sulla “globalizzazione/de-globalizzazione”. Deve per questo essere riacceso e rinnovato il pensare anche sulla funzione dell’artista-poeta  all’interno delle comunità locali.

In Pasolini è già presente nei primissimi anni Quaranta, quando era poco più che un ragazzo,  e Cinquanta del secolo scorso: quali rapporti debbono esserci fra cultura popolare e riflessione colta nelle piccole patrie. Una adesione sensuale a parole e suoni che il dialetto sollecita a Pasolini, anticipatamente consapevole.

Consapevolezza che diventa crescente impegno e fonte per lui di profonde riflessioni; una vera e propria “missione” antropologica negli scritti in Passione e ideologia, raccolti in volume nel 1960. Tutto questo si trasferisce in solenne e quasi epico naturalismo di una lingua in cui la “natura geografica” si traduce in “natura umana” di un sapere locale non percettibile da chi non parla e non comprende quella lingua. È questa una nozione di popolo che proprio in quegli anni si appoggia  nel dibattito politico e culturale al concetto gramsciano di nazional-popolare.

Pasolini è contrario al bozzettismo popolaresco ed è critico all’idea di un popolaresco ”maccheronico” che vuole affermare una superficiale ingenua semplicità.

Non si abita un luogo, si abita una lingua.

  Cerca di far rinascere una cultura” alta” locale non come elemento secessionistico rispetto alla nazione, ma anzi come forma di piena partecipazione popolare alla vita del paese. Per questo è necessario liberare la poesia cosiddetta dialettale dalla facile vocazione di regresso. Il poeta in proprio, o come traduttore di poesia o racconti da altre lingue del mondo  “non deve risolvere la propria ispirazione nel cerchio chiuso del dilettantismo psicologico, ma rompere quel cerchio, sentirsi pro-vocato da ragioni più complesse sia interne che esterne allo stesso dialetto.”

4

IL BILINGUISMO E LA VOCE SONO COSTITUTIVI
DI OGNI ATTO LINGUISTICO E DEL PENSARE

Non esiste una monolingua, una lingua unica.

 Ci sono migliaia di lingue. E all’interno di ogni lingua, anche nel solo dialetto di un luogo vi è bilinguismo sfrenato.
Anche nell’italiano vi sono centinaia e migliaia di bilinguismi.

Possiamo dire che ognuno di noi parla un italiano diverso, come parla nel proprio dialetto un dialetto diverso.
E allora?
Ogni dialetto ha un suo tremore sorgivo. Succede qualcosa in ogni atto linguistico; succede qualcosa di misterioso capace di toccare, di essere di nuovo in un rapporto di vicinanza con chi ascolta o con la cosa nominata.

   Jacques Lacan (psicoanalista francese) diceva che “ l’inconscio è strutturato come il linguaggio, come un dialetto addirittura”. Un elemento sorgivo che non deve diventare immediatamente scrittura e grammatica.
La lingua è come il latte materno dei primi mesi: deve montare, sgorgare e non può fissarsi ancora in un’altra lingua.

Una lingua che impariamo senza regole; impariamo da quelli che ci stanno accanto. L’italiano: la lingua che chiamiamo nazionale e che studiamo successivamente ci serve per fissarla perché si alteri il meno possibile; una lingua in qualche modo artificiale.

A Pasolini la lingua italiana faceva orrore. Come la scuola dell’obbligo perché è una scuola di iniziazione alla qualità di vita piccolo borghese: vi si insegnano delle cose inutili, stupide, false, moralisticheggianti.

Il poeta Zanzotto, che ha scritto poesia in italiano e in dialetto, ha detto che tutto quello che ha scritto in italiano è fasullo.

Già Dante scriveva che il dialetto non può mai stare fermo, cambia continuamente, altrimenti diviene una lingua morta.; deve continuare a vivere trasformandosi.

   Pascoli ha aggiunto che “il poeta scrive sempre in una lingua che è stata, che però si usa ancora per dare maggiore vita al pensiero. È come se la lingua trascinasse sempre dietro di sé il proprio passato annunciando il futuro”.

Dice Giorgio Agamben che il “dialetto è quel parlare un po’ balbuziente in cui si esita e proprio in quel momento succede qualcosa. Il poeta è colui che sa qualcosa di quella balbuzie, dell’inciampo con l’altra lingua.
Cosa succede tra il momento sorgivo e quello istituzionalizzato imposto dalla lingua nazionale? Quel momento brulicante, fertile, sorgivo e costitutivo della lingua c’è sempre, in ogni atto di parola. Il dialetto non può morire fino a che ci saranno parlanti”.

Il poeta non è per forza chi scrive poesie, ma è colui che riesce a passare e sostare in quello spazio tra le due  lingue che diventa un momento poetico. In ogni atto di parola, qualsiasi sia la lingua, può esserci un atto poetico.

Esperienza del leggere un testo a fronte di due  lingue: c‘è un andari-vieni, nel movimento tra una lingua e l’altra, in cui si trova l’impensato di quel testo fra le righe…che ci fa sostare dove non c’è nulla. In quell’istante di esitazione tra il momento sorgivo e la parola che si dice e quella che rimane non detta, che si presenta l’ impensato, l’ancora da pensare.

 Ma allora quello che accade e appare  è la voce ?!

 La voce è il modo in cui ogn’uno di voi qui, questa sera, può essere individuato dalla comunità dei parlanti-ascoltanti, aldilà della grammatica della lingua utilizzata.

Perché state incarnando la vostra voce. Accade poi che la voce svanisce.

Il pensiero è pulsionalmente determinato attraverso la fonazione e l’intonazione, che mutano secondo le variazioni “del tono psicologico” non sempre immediatamente cosciente”.

Un evento linguistico accade e una volta che è accaduto non c’è più niente da fare se non attivare un altro discorso.

Il timbro è il “sesso” della voce; muta con la crescita, e la cultura  lo normalizza.

Nel timbro  gli strati più intimi e profondi della corporeità vocale: i sentimenti che nascono dagli Atti e passano per le emozioni per formarsi quelli ripetuti con la cultura in sentimenti.

Il linguaggio è nella voce articolata ciò che può diventare tecnicamente scrittura con una operazione simbolica straordinaria: scrivere le parole-lettere alle quali abbiamo imparato a dare un significato e un suono/scrittura.

La voce viene catturata dal linguaggio. Mentre la voce dell’animale non è scrivibile.

Ogni qualvolta un bambino entra nel linguaggio gli si illuminano gli occhi.

Quando  impara a dire NO! oppure capisce l’importanza del numero quando incomincia a contare …scopre qualcosa …scopre la potenza del linguaggio e della lingua. Mentre parla scopre che sta parlando le parole che ha ascoltato per tanti anni prima.

È quello che succede a noi centinaia se non migliaia di volte in una giornata e a cui non diamo nessuna importanza.

Il linguaggio è il bene più prezioso che abbiamo, l’abbiamo ereditato e dobbiamo portarlo in salvo e farlo crescere.

5

IL CERVELLO BILINGUE SECONDO LA SCIENZA

– È bilingue anche colui che ha una lingua dominante e l’altra utilizzata in specifiche circostanze.

– Il Bilinguismo rende capaci di passare da una lingua all’altra senza grande sforzo

– Il cervello è coinvolto in una sorta di “danza” tra una lingua e l’altra. Nel nostro caso tra il dialetto di Cavriago e la lingua nazionale.

– Il cervello bilingue mantiene sempre aperta la possibilità di attivare una delle due lingue, anche se dormiente da parecchi anni.

L’attivazione cerebrale provocata dalla lingua materna (lenguamedra) oltre ad essere di maggiore intensità è più uniforme della lingua appresa successivamente (l’italiano o altra lingua).

– Una recente ricerca del MIT dice che rischia di cadere più facilmente e rapidamente nella demenza senile chi non è bilingue. Si arriva più facilmente all’atrofia del centro di Broca (che presiede al linguaggio) se si ha un impoverimento nell’uso delle parole, sia in dialetto che in lingua.

– Sappiamo che oggi vi è un impoverimento lessicale: un giovane fino ai trent’anni apre in media e guarda per circa 220 volte un device di comunicazione: smartphone, iPad o computer.

– Una doppia ricerca realizzata dal linguista Tullio De Mauro nel 1976, poi ripetuta vent’anni dopo tra gli studenti di un liceo classico romano, ha riscontrato che in vent’anni gli studenti del 1976 conoscevano la metà in numero delle parole calcolate vent’anni prima.

– Essere bilingue porta a modificare quelle parti del cervello anche fuori dalle aree del linguaggio con conseguenze sia per la cognizione generale che per la salute personale.

– Nel bilingue esistono due o più termini per dire lo stesso significato o chiamare una cosa, una azione, un ricordo, ecc.

I vantaggi cognitivi acquisiti con il bilinguismo si mantengono nella terza età.

 Parliamo nelle nostre lingue, prima di pensare!!!

 

6

ALCUNE PROPOSTE 

che sottopongo a voi presenti, qui riuniti come “consiglio di amministrazione” che questa sera approva il nuovo bilancio, il “Vocabolario del Dialetto di Cavriago- Edizione 2022” , con l’intenzione e l’obiettivo di diffondere e rendere attive tali proposte nel tempo insieme ai 9840 azionisti cavriaghesi, grazie alla parole delle due lingue e con tutti gli strumenti disponibili:

  1. Tornare il più possibile all’uso della parola dialettale: orale e scritta.
  2. Proposta al Multiplo di allargare lo spazio dedicato a libri, mostre, ascolto, laboratori sul linguaggio (dialetto, dialetti, lingua nazionale).
  3. Attivare la scuola delle parole dialettali: il magazzino delle parole dimenticate.
  4.  Creare Gruppo di lavoro multi-età su Voce, Scrittura e Grammatica con ‘laboratori e scambi in presenza (o digitali) che aumenti la consapevolezza del ‘privilegio’ di cui gode chi conosce il dialetto, il bene più prezioso che abbiamo.
  5. Proponiamo ad alcune scuole, in forma di esperimento, un doposcuola sull’uso del dialetto.
  6. Facciamo incontri con anziani e ascoltiamo le loro esperienze e racconti in dialetto.
  7. Continuiamo l’opera di custodia e sviluppo del dialetto, come hanno fatto gli Autori di questa nuova edizione del Vocabolario del dialetto di Cavriago.
  8. Incontriamo poeti e scrittori neo-dialettali, neo-sperimentali.

 

“Nessuna cosa è dove la parola manca”

 

7

MOMENTI DI RIFLESSIONE ALLA FINE DELL’INCONTRO,
SE PERMARRA’ LA VOLONTA’ DEL TEMPO DISPONIBILE: KAIROS

 Dell’improvviso silenzio del linguaggio che continua ad esistere perché ci precede da migliaia di anni, anche dove il silenzio, all’improvviso, custodisce: identità, valori, lacrime, gioia desiderio di una nuova vita.

Ma il linguaggio parla il suo linguaggio unico: che porta il pensare. E i pensieri ci arrivano, si aprono a noi e in noi, poiché parliamo.

Il linguaggio non è perciò né una lingua, né solo uno strumento che l’uomo possiede accanto a molti altri.

L’essenza del linguaggio non si esaurisce nel suo essere mezzo di comunicazione per intenderci-intendersi, anche se dappertutto gli si fanno incontro le lingue. Certamente le donne e gli uomini ne dispongono, nelle diverse lingue, per poter partecipare agli altri, e con le altre e gli altri: le esperienze, le decisioni, le passioni, gli stati d’animo, i progetti.

Ci sono sempre d’ispirazione la poesia; le letterature tutte, le neuroscienze e la filosofia.

 “…e c’è ancora chi crede che la realtà sia quella che si vede…”,
ci ricorda il nostro Eugenio Montale.

 

Anche quando ci poniamo domande importanti ci rendiamo conto che il linguaggio ci sfiora e ci pone di fronte a limiti di risposte che non sappiamo trovare perché, forse, non riusciamo a “portarle al linguaggio”, come si dice in psicoanalisi.

E soprattutto quando cerchiamo di portare alla parola un argomento, un fatto, una cosa di cui non abbiamo ancora parlato, speriamo che il linguaggio (il pensare secondo la metafisica) ci venga in aiuto senza abbandonarci.

Il poeta nomina tutte le cose in ciò che esse sono.

Quando il poeta dice la parola essenziale, l’ente evocato (tutte le cose, e una sola per volta) riceve, attraverso questo nominare, la chiamata ad essere ciò che è.

Questa libera donazione del poeta istituisce.

Perché resta (stabile) ciò che è istituito dal Poeta? Perché attraverso il suo essere istituito, lottando contro il travolgimento, ciò che è stato detto viene strappato alla confusione.

Abitare poeticamente la terra

Questo altro verso di Hölderlin ci pone in rapporto con il compito fondante (sempre istituente) della poesia. Ma la poesia non è un ornamento che accompagna l’esserci; non è solo un entusiasmo momentaneo o addirittura solo un eccitamento o un intrattenimento.

La poesia è il fondamento che regge la storia e perciò non è neppure soltanto un fenomeno della cultura e meno che mai la mera ‘espressione’ dell’anima di una cultura. È il linguaggio originario di un popolo storico.

La poesia suscita in alcuni la parvenza dell’irreale e del sogno di fronte alla realtà ’tangibile’ e ‘palese’ in cui ci crediamo di casa. È invece proprio nel linguaggio originario che abbiamo la possibilità di emozionarci.

E infine, per incominciare, per ri-dare inizio all’inizio di questo eterno ritorno del linguaggio, vi è la voce del corpo, quell’ essere presente che è in vita prima della parola, costituito dall’originaria pienezza che sostanzia la parola con la gestualità antica che fa del nostro corpo emozionato qualcosa di immediatamente e sempre espressivo; ma ci ricorda Umberto Galimberti:

perché questa espressione venga compresa è necessario che chi la scorge viva lo stesso mondo di chi la esprime perché il senso delle nostre emozioni, dei nostri gesti e delle nostre parole venga compreso da un atto dello spettatore che nell’emozione, nel gesto della parola, riconosce un proprio vissuto”.

Solo pensando insieme queste determinazioni ci appare più chiara l’essenza piena del linguaggio originario che custodisce e restituisce il reale con il corpo e nelle parole: nell’emozione di:

 “…abitare sulla terra, sotto il cielo, insieme agli altri uomini, tenendoci per mano, capaci di morire…”

 

 Nelle immagini: Rolando Gualerzi, Brunetta Partisotti, Denis Ferretti, Gian Franco Nasi e Luciano Cucchi, relatori e animatori della serata.

 

 

 

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