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Emilio RENTOCCHINI – Sassuolo (MO), 1949

Emilio Rentocchini è nato nel 1949 a Sassuolo in provincia di Modena. In senso strettamente anagrafico quindi non è reggiano per pochi chilometri, così come sassolese è propriamente il suo dialetto, che rimane comunque “contiguo” al nostro.

*

Emilio Rentocchini rappresenta una delle voci più importanti nel panorama della poesia italiana contemporanea, e a maggior ragione nel panorama delle poesia dialettale emiliana, e noi riteniamo pienamente giustificata la sua presenza in questa Antologia, visto anche il suo essere di “confine” con la nostra provincia.

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Oltre al fatto che Sassuolo appartiene alla Diocesi di Reggio Emilia (il cimitero di Sassuolo è dedicato a San Prospero), ci sentiamo anche confortati per il suo inserimento in questa nostra Antologia, dal Rentocchini stesso quando afferma  che “il sassolese (o quantomeno il sassolese reinventato da lui ) è un dialetto ibrido, un mix tra modenesereggiano e montanaro”.

Confidiamo inoltre che alcuni dati della vita e dell’opera di Rentocchini possano farci perdonare dagli amici modenesi questa “appropriazione” (per nobili  ragioni culturali, ben s’intende!): Rentocchini ha insegnato per molti anni nella scuola media di Roteglia, ha abitato recentemente per alcuni anni a Reggio Emilia, ed è un tifoso della squadra di calcio della Reggiana:

E se c’è qualcosa che non vorrei perdere è la domenica pomeriggio, quando ci troviamo ad ore impossibili, mentre tutti sono ancora a tavola, per andare a Reggio allo stadio. ..e, al suono di “Regia in serie A” del Trietto, si fugge un po’ da tutto… “
[Athos Nobili, Conversazione con Rentocchini, da: Poker di scrittori di provincia, Sassuolo, ottobre 1998
web.archive.org/web/20080917162812/http://www.poiein.it/autori/R/rentocchini_intervista.htm]

Infine il suo poetare in ottave nasce dalla rilettura “tutto d’un fiato del  Furioso, nei pigri pomeriggi della primavera del 1988″.
Ero partito con l’idea sonnolenta di leggiucchiare qua e là, in un noiosissimo periodo di insegnamento, dal quale tornavo avvilito. Be’, la magia del cristallino e liquido endecasillabo ariostesco mi obbligò a leggerlo avidamente, senza scartare un verso, senza perderne una sillaba, o meglio, una nota…
[Emilio Rentocchini: Tre e-mail a Maria Cristina Cabani sull’ottava, in:
poesia.blog.rainews.it/2020/02/emilio-rentocchini-44-ottave/#more-68476]

 


 

 

 

Rentocchini ha pubblicato la prima raccolta di poesie dialettali Quèsi d’amòur nel 1986 alla quale hanno fatto seguito Foi sècch (1988)Otèvi (1994)Segrè (1998)Ottave (2001), Lingua madre (2016)  e  44 Ottave (2019).
Vincitore  nel 1990 del premio Lanciano di poesia dialettale e, negli anni successivi, di diversi altri importanti premi nazionali fino all’ultimo e più recente Premio Pascoli 2020. Le sue ottave hanno suscitato l’interesse di giornalisti, critici letterari e altri scrittori-poeti, dandogli  risonanza a livello nazionale e sono numerosi i saggi critici dell’opera di Rentocchini pubblicati nel corso degli anni.
Nel 2006 gli è stato anche dedicato un documentario Giorni in prova. Emilio Rentocchini poeta a Sassuolo
[it.wikipedia.org/wiki/Emilio_Rentocchini]

 


 

Sono ormai 300 le ottave pubblicate ad oggi da Rentocchini, tutte in dialetto e in lingua.
Le ottave nella versione in dialetto, hanno tutte rigorosamente la struttura metrica dell’ottava, tre distici endecasillabi, con rime alternate e il quarto a rima baciata, secondo lo schema classico ABABABCC.
Nella versione in italiano, invece, “il verso diventa libero, l’attitudine compositiva (e linguistica) pienamente sperimentale … e non v’è traccia di rime obbligate: il dialogo tra i due estremi della pagina muove dunque da una condizione formale di aperta dissonanza per approdare al fecondissimo intreccio di una partitura che l’autore stesso, davanti ai nostri occhi, sa trasformare in musica“.
[Alberto Bertoni: Per Emilio Rentocchini. Prefazione a Segrè, Libreria Incontri, Sassuolo, 1998]

Rentocchini aggiunge che “… l’ottava vera è quella in dialetto ma costruita sul labile confine tra le due lingue, con continue incursioni nei due sensi. Mi sforzo di rincorrere una lingua per fortuna imprendibile e vasta, dentro di me, fatta di doppiezza e mistero, una lingua sdrucciolevole, che forse proprio per questo mi sembra viva, pur non essendolo e forse non esistendoLa ‘variante’ italiana, non metrica, mirerebbe a una fedeltà ‘intelligente‘.

 


 

Noi ci limitiamo qui a presentare un minimo saggio della sua vastissima produzione poetica, nell’intento di offrirne uno scorcio “panoramico” iniziando da un’ottava dedicata proprio al dialetto.

 

Na léngua ch’l’an crèss ménga, ch’l’as scunsómma
in el cusèini vèdvi, ai lèt di vèc,
bòuna a ciamèr sòul quèll ch’l’è dre ch’al sfòmma
dre da la lus, dèinter l’arseint di spèc
in dove premavèira l’an profómma,
premavèira spietèda con i vèc
e al sò baiòch ed léngua ch’an crèss ménga,
ch’as scunsomma da lonedè a la dmènga.

*

Una lingua che non cresce mica, che si consuma
nelle cucine vedove, ai letti dei vecchi,
buona a nominare solo ciò che sta sfumando
dietro la luce, nell’argento degli specchi
dove primavera non profuma,
primavera spietata con i vecchi
e il loro baiocco di lingua che non cresce mica,
che si consuma da lunedì a domenica.


La seconda ottava scelta per questa scheda è dedicata allo stadio storico della Reggiana, il Mirabello.
Racconta Rentocchini di essere stato lo “spettatore di un rito in uno stadio-mito: il Mirabello di Reggio. Una delle mie ultime ottave parla proprio di un tratto di quel campo, quello tra la linea del fallo laterale e la rete di recinzione, in cui il pallone finiva raramente e dove invece venivano arrotolati i teloni di protezione. Ogni tanto però la palla prillava sulla linea vicino alla bandierina e l’ala vi si gettava in scivolata, tentando il cross, mentre la gente vicinissima incitava, e nell’aria volavano schizzi di fango. Questo è il calcio, è stato il calcio al Mirabello
[Athos Nobili, Conversazione con Rentocchini, da: Poker di scrittori di provincia, Sassuolo, ottobre 1998
web.archive.org/web/20080917162812/http://www.poiein.it/autori/R/rentocchini_intervista.htm]

Da tutto questo Rentocchini ne ricava un’ottava tutta caratterizzata dalla leggerezza delle immagini fino all’ultimo verso in cui … l’èla in blisgòun la va a crusèr al vòul.

Ah, l’èrba alèngh la réda in sbingaiòun
alséra in brasa a l’aria balarèina,
i’n ‘gh ríven i tachètt atàch ai tlòun
ch’i lùsen arvuié dre la banchèina,
ma se quèlch vòlta l’èmbra dal balòun
la prélla via sul fil dla bandirèina,
tra sprécch ed tèra a l’aria e sigh al sòul
l’èla in blisgòun la va a crusèr al vòul.

*

Ah, l’erba lungo la rete penzoloni
leggera in braccio all’aria ballerina,
non ci arrivano i tacchetti vicino ai teloni
che luccicano arrotolati dietro la panchina,
ma se qualche volta l’ombra del pallone
prilla via sul filo della bandierina,
tra spruzzi di terra all’aria e grida al sole
l’ala in scivolata va a crossare al volo.

 


 

Il legame con Ludovico Ariosto è richiamato in modo insolito in  questa ottava, ambientata in un bar davanti al Mauriziano, dove Rentocchini, più che a bever quel, crediamo vada a rendere omaggio al poeta, preoccupato dall’ignoranza, diffusa tra la gente, della grandezza dell’illustre concittadino.

 

Ed frount al Maurisian a gh’è un bartein
do vagh a bever quel s’a pas ded lè,
am séd dre l’embra comda del vedrein
e am las sgumbiers in cosa in cô, finchè
ed coulp am ruga un fógh e a quell piò svein
agh fagh: ma chi ha titê ded là ded chè?
Po’ préma ‘d sintirgh dir un quelch sfundoun
a soun già bele fóra tra i camioun.

*

Di fronte al Mauriziano c’è un barettino
dove vado a bere qualcosa se passo di lì,
mi siedo dietro l’ombra comoda delle vetrate
e lascio che ogni cosa mi si confonda in testa, finché
di colpo non mi divora un fuoco e a quello più vicino
faccio: chi fu allattato di fronte a qui?
Poi prima di sentirgli dire qualche sfondone
eccomi già fuori in mezzo ai tir.

 


 

Poiché ogni ottava è un testo a sé, che non si concatena con le altre che la precedono o la seguono, ne deriva che il soggetto è sempre diverso, frutto delle più svariate esperienze, suggestioni, riflessioni del Poeta, come nell’ottava seguente.
Qui il tema è l’ascolto “interiore” della lingua, delle sue pause e della ”vanità di un verso”, suggellato da un’immagine contrapposta in cui astrattezza (leteren) e concretezza (un em ch’l’ha pers al fil , un vec vinil)  si fondono grazie alla poesia.

 

La léngua al gred piò pur, disancoreda
e nuda, al brivid d’ogni pausa deinter:
umilmeint ed se stessa inamureda
e dal sô istant, damand n’artòurn al ceinter,
la scoca acsè d’incant la libereda
vanitê d’un vers. L’eteren un meinter
cucê lè ai pè d’un em ch’l’ha pers al fil
e al scoulta na poesia da un vec vinil.

*

La lingua al grado più puro, disancorata
e nuda, il brivido di ogni pausa dentro:
di se stessa umilmente innamorata
e del suo istante, come un ritorno al centro,
scocca d’incanto la liberata
vanità di un verso. L’eterno un mentre
accucciato lì ai piedi di un uomo che ha perso il filo
e ascolta una poesia da un vecchio vinile.


Nella successiva ottava Rentocchini rende omaggio all’Infinito di Leopardi, ma la sua attenzione non  è rivolta agli interminati spazi e i sovrumani silenzi che Leopardi nel pensier si finge. Rentocchini pone al centro della composizione la séva scura, lusèinta, intéra, confine di un infinito umanamente inconcepibile. Passando accanto a quella siepe può contarne i broch, el foi i gran/ed pòulvra provandone alla fine anch’egli un senso di smarrimento, privo però di qualsiasi consolazione.

 

Séva, infinidi vòlti am sòun sidû
a la fnèstra a guardèrt, e t’ér tótt’un:
scura, lusèinta, intéra, e intòurna l’u
arversê ‘d n’infinî ch’an dà a ninsùn
vóia ‘d pensèrel, pès d’avèir cherdû;
ma sòul ch’at pasa atàch e a un a un
at pòs cuntèr i bròch, el fói, i gran
ed pòulvra; e a so d’anghèr con n’òstia in man.

*

Siepe, infinite volte mi sono seduto
alla finestra a guardarti, ed eri un tutt’uno;
scura, lucente, intera, e intorno la u
rovesciata di un infinito che non dà a nessuno
voglia di pensarlo, pace d’aver creduto;
ma solo ch’io ti passi accanto e a uno a uno
posso contarti i rami, le foglie, i granelli
di polvere; e capisco d’annegare con niente in mano.

 


 

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