Questa fôla è stata raccolta nell’anno 2022 dalla viva voce di una nonna-narratrice, Genoeffa Branchetti, nata e vissuta a Prato di Correggio, classe 1932.
La signora Genoeffa ci ha fatto l’onore di contattarci, attraverso il nipote Marco, per donarci le fiabe della sua infanzia. La fôla dell’angelo pennuto fa parte della tradizione orale dell’area di Carpi-Correggio e ne abbiamo trovato una versione a stampa, molto simile, in un bel libro di Loredana Cassinadri e Luciano Pantaleoni (Le stramberie di Mingone e di altri stolti contadini scaltri. Incontri Editrice, Sassuolo, 2006), dal quale abbiamo tratto l’illustrazione di Giulio Taparelli.
Secondo questi Autori, la favola, non sembra avere origine da miti o credenze, ma potrebbe essere il racconto romanzato di un fatto realmente accaduto.
Presentiamo qui, oltre al testo in dialetto e relativa traduzione, anche la registrazione video del racconto. Il testo è stato integrato in alcune parti, riportate in corsivo , per dargli un leggero “spessore” letterario. Nella versione video, invece, i sottotitoli riportano fedelmente il racconto della signora Genoeffa Branchetti.
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LA FÔLA DELL’ANGELO PENNUTO
A gh ēra ’na volta marî e mujēra ch ë gh îven ‘na fiôla. Un dé la fiôla la s ē spusêda e l’ē andêda a vîver in cà cun la nôna (1).
La nôna la la tratêva sèinper mêl: quând la fêva la tōrta la n la fêva mai pêra (2). E pô, tót al sîri la la fêva stêr alvêda fîn a ónd’ş ōr a filêr e lē la gh’îva sòn.
Alōra lē, puvrèina, l’ē andêda da so pêder e la gh à cuntê tót. Alōra al pêder al gh à dét: – Lêsa fêr a mé! Èt vedrê che …
E difâti una sîra al s ē tót impabiasê ’na gâmba cûn dla saba (3) e pô al l’ à sferghêda in méş a la pèna.
Dôp, l ē andê indla cà do stêva s0 fiōla e, de sfrûş (4), mèinter tót j ēren in dla stâla, l ē andê só per la tēşa (5), l’à avîrt la ribêlsa (6) e l à més şò la gâmba tóta quacêda ed pèna.
Pó, cûn vōş grôsa l à tachê a dîr:
-Sono l’Angelo Pennuto che dal cielo son venuto. A sûn gnû a dîr a la vècia Frêra ch la fâga la tōrta pèra, ch la vâga a lèt bonōra e ch la fâga cûnt ed so nōra (7). Se t n al crèd, guêrda sta gâmba!
Cojósi, la vècia l’à dét subét, tóta spavintêda:
– Dai, dai, dai andòm a lèt, andòm a lèt!
E d’ alōra a còla (8) l’ē sèinper andêda a lèt prèst e la fêva la tōrta giósta.
Allora la poverina è andata da suo padre e gli ha raccontato ogni cosa. Il padre le ha detto: Lascia fare a me! Vedrai che …
Infatti, una sera si è spalmato della sapa su una gamba, poi vi ha appiccicato delle piume.
Dopodiché, è andato dove abitava la figlia e, di nascosto, mentre tutti erano nella stalla, ha aperto la botola da dove si passava il fieno e vi ha infilato la gamba tutta coperta di piume.
Poi, parlando ad alta voce, ha cominciato dicendo:
-Sono l’Angelo Pennuto che dal cielo son venuto. Son venuto a dire alla vecchia Ferrari che deve dividere la torta in parti uguali, che vada a letto presto e che porti rispetto a sua nuora. Se non mi crede, guardi questa gamba!
Al che, la vecchia tutta spaventata: – Dai, dai, andiamo a letto, andiamo a letto!
Da quella sera in poi è sempre andata a letto presto e ha sempre diviso la torta in pari uguali.
Ciò che sorprende in questa fôla non è tanto il tema del maltrattamento di una giovane sposa da parte della nôna, tema che abbiamo già incontrato nella storia della Sposa Porcaia (pubblicata nel luglio 2022), quanto l’insolito e principale motivo del contrasto: la nôna ch l an fà mìa la tôrta pèra, segno indiscutibile di emarginazione della giovane nuora!
Note:
- nôna: suocera
- pêra: la suocera faceva porzioni di grandezza diversa e alla nuora dava sempre quella più piccola.
- saba: sapa, liquido dolce e denso, ottenuto facendo bollire a lungo il mosto d’uva.
- de sfrûş: di nascosto
- tēşa: fienile
- ribêlsa (o arbêlsa): botola passafieno che consente di calare il fieno direttamente nella stalla.
- fêr cûnt: rispettare, trattare bene.
- d’ alōra a còla: d’allora in poi.
GUARDA IL VIDEO
Si ringrazia Incontri Editrice (Sassuolo) per l’autorizzazione concessa per la riproduzione dell’illustrazione di Giulio Taparelli.
Post Scriptum
A seguito della segnalazione inviataci da Laura Artioli (si veda commento in calce), riportiamo il testo dell’entrata in scena dell’angelo pennuto presente ne I miei sette figli, di Alcide Cervi, Editori Riuniti:
Bruta vècia che te fila
vatn a lèt ch’l’è sira
a la mateina, a stert a levér
sin a tant che a n’è d’cher.
Me son l’angel bein pennù
che dal ciel son gnù
se te n’farè la torta cèra
tricchete trac’na squaderleda.
3 risposte
Ho sentito raccontare a mia volta questa storia a villa Cadè dalle mie zie paterne nate negli anni 10-20, e vi segnalo che la stessa faceva parte del repertorio che Genoeffa Cocconi Cervi raccontava ai suoi figli piccoli. Nell’edizione Einaudi 2010 de I miei sette figli, curata da Luciano Casali, si trova alle pagine 20-21.Grazie!
E raffrontando le due varianti acquista un senso anche quella incomprensibile torta chiara che invece è la torta pari.
Grazie Laura per il suo significativo e gradito commento. Anche nella vecchia edizione del 1955 de I miei sette figli in mio possesso è riportata la favola dell’angelo pennuto. Grazie alla sua segnalazione aggiungeremo un post scriptum al testo con la rima recitata dall’ “angelo”.