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I NÔSTER CAMPIÒUN

In questa sezione della nostra ricerca sul legame tra bicicletta e reggiani presentiamo un repertorio dei corridori ciclisti reggiani che nel corso degli anni hanno gareggiato ed entusiasmato i loro sostenitori. La ricerca si è avvalsa del materiale presente in un sito specialistico estremamente ricco di informazioni, dal quale abbiamo tratto le schede dei nostri concittadini.

ANTEO CARAPEZZI

 

                                 Anteo Carapezzi

Correggio 1876 – Milano 1957

Buon velocista, colse qualche risultato significativo sia su strada (vinse la prima edizione della Milano-Modena) che su pista anche se fu particolarmente apprezzato soprattutto nei Velodromi dove partecipò a numerose riunioni, talvolta riuscendo pure a primeggiare.
Fu 2° nel Campionato Italiano Velocità 1907 e partecipò a due mondiali nella Velocità (1908 e 1913, sempre eliminato in batteria). Abbandonato l’agonismo, fu per molti anni apprezzato Direttore del Velodromo Sempione. Fratello di Egisto (valido pistard nella prima decade del XX secolo) e padre di Adone (noto radio-telecronista sportivo).

Testo e immagine tratti da: http://www.museociclismo.it/

 

 

BRUNO C ATELLANI

Rolo 1910 – Modena 1993

Buon passista, Bruno Catellani è stato un ottimo dilettante: vinse due volte la Coppa Italia (1928 e 1929, sempre con la Nicolò Biondo Carpi) e la Milano-Modena (a cronometro individuale) del 1931, anno in cui prese pure parte senza fortuna (fu costretto al ritiro) ai Mondiali di Copenaghen (anch’essi disputati contro il tempo) e giunse 2° nel Campionato Italiano di categoria. La stagione seguente si aggiudicò la Coppa Landini, ma poi il suo nome scomparve presto dalle prime posizioni.

Testo tratto da: http://www.museociclismo.it/

 

RENATO SCORTICATI

 

                        Renato Scorticati

Reggio Emilia 1908 – Albinea 1978

Tra i migliori protagonisti degli anni ’30 si trovava a suo agio su ogni percorso e, anche se non vinse moltissimo, ottenne comunque risultati che lo proiettano tra i corridori più in vista del suo periodo anche perché talvolta venne utilizzato pure come gregario. Da dilettante vinse la Coppa Italia nel 1928 (cronometro a squadre per la US Nicolò Biondo Carpi con Bergamaschi-Castellani-Tirelli) e nel 1929 (sempre US Nicolò Biondo Carpi con Manicardi-Castellani-Morellini). Alla fine del 1930 passa alla categoria superiore e ottiene subito un ottimo 6° posto al Giro di Lombardia. Ha preso parte a 8 edizioni del Giro d’Italia (con 2 ritiri) ottenendo sempre buoni piazzamenti: 15° nel ’31, 10° nel ’32, 21° nel ’33, 13° nel ’34, 21° nel ’35, 24° nel ’36.
Cesserà l’attività nel 1940 dopo una carriera decennale, certamente onorevole anche se gli è mancato il grande acuto che tuttavia probabilmente non era nelle sue possibilità. Il figlio Giovanni è stato un buon dilettante.

Testo tratto da: http://www.museociclismo.it/

 

NELLO SFORACCHI

 

                            Nello Sforacchi

Scandiano 1927Magny-les-Hameaux, 2016

Di umili origini, Sforacchi si mise in luce fin da giovanissimo come grande promessa fra i dilettanti, con i successi nella Coppa Agostoni e nella Modena-Abetone. Era il pupillo di Pietro Scapinelli, conte di Leguigno, famoso aviatore che morì in un incidente aereo sui cieli di Reggio nel 1941. La scomparsa del proprio mentore fu un duro colpo, ma finita la guerra Nello era sempre fra i migliori. E tra i migliori 15 dilettanti venivano selezionati quei 7-8 corridori che avrebbero partecipato al Tour de France nella Nazionale Cadetti, destinati a fare da gregari alla rappresentativa dei campioni Bartali, Magni e Coppi. Sforacchi partecipò così al Tour del 1948, quello che vide Bartali trionfare dieci anni dopo il successo del ’38. La corsa di Nello durò poche tappe, perché in seguito a una caduta fu ricoverato in ospedale: decise allora di rimanere in Francia, dove in seguito si sposò ed ebbe due figli.

Dopo un primo Giro con l’Atala di capitan Astrua, nel ’50 prese parte alla corsa con la squadra italiana della Viscontea capitanata da “testa di vetro” Robic, fresco vincitore del Tour, un team metà francese e metà italiano costruito per aggiudicarsi la corsa rosa. Coppi cadde e si ritirò poi, sulle Dolomiti, Robic andò in crisi dopo un paio di forature e Nello, Volpi e Rivola lo spinsero a forza fino all’arrivo, nella speranza che potesse riprendersi. Ma perse quasi 20 minuti rimanendo tagliato fuori dalle prime posizioni. Il favorito era quindi Bartali, insidiato però dallo svizzero Koblet, un bravo pistard voluto da Learco Guerra ma non certo uno scalatore. Ed ecco succedere l’imprevedibile: Koblet fora e Bartali, Ortelli e Magni vanno all’attacco per staccarlo definitivamente. “Quando Nello raggiunse Koblet quest’ultimo gli chiese di aiutarlo offrendo una bella somma pur di riportarlo sotto. Per la sua squadra il Giro era finito, i soldi facevano comodo, cosa doveva fare? Lo aiutò a rientrare”. Bartali non lo ha mai perdonato, anche perché proprio grazie a quell’aiuto alla fine Hugo Koblet fu il vincitore del Giro d’Italia del 1950, e le polemiche sull’italiano che l’aveva aiutato tennero banco a lungo sui quotidiani. Ma da farsi perdonare non aveva niente: erano entrambi italiani, d’accordo, ma di squadre diverse e professionisti. Correva per chi lo pagava, e quella volta fu pagato in franchi svizzeri. Per fortuna prese quei soldi, perché la Viscontea fallì in seguito alla disfatta nel Giro e come saldo della paga dovette accontentarsi di alcune biciclette che poi faticò a vendere.

Aveva uno stile che sembrava incollato alla bici ed era uno che sapeva andar forte anche in salita, nonostante avesse pochi mezzi economici: tante volte nella sacca dei rifornimenti doveva metterci delle noci e del pane, mentre un corridore ha bisogno di cose più sostanziose.

Nello Sforacchi corse anche il Tour del ’50 e numerose altre gare fino al ’53, quando passò al ciclocross, disciplina dove eccelleva e dove terminò la carriera prima di lavorare in un’azienda francese di pneumatici per biciclette.

Testo e immagini tratte da: http://www.museociclismo.it/

 

NELLO OLIVETTI

 

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DANILO BAROZZI

 

  Danilo Barozzi a Santa Maria Vezzola

Bagnolo in Piano 1927 – 2020

La prima bicicletta gliela costruisce un meccanico del paese di Bagnolo in Piano. Ha i cerchi in legno e il cambio, un tecnologico (per l’epoca) Vittoria Margherita. Danilo Barozzi, a 16 anni, esce con i dilettanti della zona e se li mette tutti alle spalle. Orfano del padre, perso per una polmonite, dopo la quinta elementare trova lavoro presso un negozio di ferramenta e colori per il quale una volta alla settimana deve andare a Milano, in bici ovviamente! Trecentoventi chilometri di via Emila! Dimostra la sua forza alla prima gara di Allievi, proprio a Milano nel Gran Premio Saranga, organizzato dalla Gazzetta dello Sport. Settanta chilometri di fuga solitaria con il gruppo ad inseguirlo senza mai raggiungerlo. Vince di nuovo la Milano – Cappelletta, con arrivo in salita, e al ritorno in quel di Bagnolo si trova un meccanico di nome Pecorari che gli propone di correre con le sue biciclette. Dal 1943 al 1945 difende i colori della Società Ciclistica Azzini (Milano).

Dal 1946 al 1948 corre per il Pedale Carpigiano e poi passa professionista nel 1949. Per 2 anni indossa la maglia della Cimatti di Bologna e, successivamente, rimane legato alla famiglia Rizzato correndo prima nella Lygie (1951) e poi nell’Atala (dal 1952 al 1957). Dieci anni di attività fra Bartali e Coppi e nove vittorie, sudate e faticate anche se i grandi gli dicevano vai che oggi è tua. Atleta solido e combattivo, ha partecipato a 9 Giri d’Italia, 1 Tour de France, 3 Giri di Svizzera, 1 Giro della Catalogna. Le sue vittorie più importanti sono state il Gran Premio degli Assi a San Marino nel 1953, dove con ostinazione impedì a Coppi campione del mondo di aggiudicarsi il circuito del Titano, il Gran Premio Industria e Commercio a Prato vinto per 2 volte nel 1954 e nel 1956 e la tappa di Manresa nel Catalogna del ’50.

Testo tratto da: http://www.museociclismo.it/. Fonte immagine: Romano Pezzi, Addio all’ex-ciclista Danilo Barozzi, Stampa Reggiana 25 marzo 2020

 

NUNZIO PELLICCIARI

 

                          Nunzio Pellicciari

Era l’alba del primo gennaio 1935 quando Armida Annigoni, dava alla luce il suo quinto figlio, Nunzio, in quel di San Giuseppe (Casa della Regina) di Baiso. Nunzio passò gli anni giovanili a coltivare, col padre Celide e i sette fratelli, il piccolo podere in collina, e fu casuale il regalo di una bicicletta da corsa da parte di Bione Franchini (il suo primo grande e prezioso allenatore e sostenitore), allora casaro di San Giuseppe, che appassionò Nunzio.

La sua carriera ciclistica ebbe così inizio nel 1952 con la “Libertas” di Reggio Emilia, con la quale si aggiudicò la prima vittoria, mentre l’anno dopo passò al Velo Club Reggio, col quale vinse cinque corse. Per ragioni economiche (il podere non bastava più al sostentamento di una famiglia composta da dieci persone), Nunzio dovette prendere la via della Francia, dove andò per la raccolta di barbabietole. Nel ’57, finalmente, Nunzio poté fare il corridore a tempo pieno, dopo che la famiglia si era trasferita nel Modenese, a Colombaro di Formigine. Vennero subito anche buoni risultati come la vittoria per distacco nel Trofeo “De Gasperi” di Torino. La carriera di Pellicciari venne però interrotta da un grave infortunio occorsogli durante la Trento-Bondone: in fuga con altri quattro, venne investito da una moto riportando una ferita alla gamba sinistra, suturata con 60 punti, cui seguì il ricovero in ospedale per un mese. Tuttavia, la forte fibra lo raddrizzò e l’anno successivo vinse sei gare e conquistò il 5° posto alla finale di San Pellegrino, che gli aprì la strada al professionismo. Nel 1959 passò infatti professionista con la San Pellegrino e riuscì a partecipare e a portare a termine (70° posto) il suo primo Giro d’Italia, quale fedele gregario di Romeo Venturelli. Nel 1960 partecipò di nuovo al Giro d’Italia e lo concluse in 62° posizione. Nel ’61, con la Molteni’’, non riuscì a concludere il Giro mentre l’anno successivo passò alla Torpado’’ e al Giro si distinse nella burrascosa e storica tappa del Rolle, rimanendo coi primi inseguitori di Meco (che vincerà): soltanto una caduta causata dalla neve, alta ben 20 centimetri, lo fece arretrare all’’11° posto mentre il Giro perdeva ben 57 corridori. “A Baiso, paese natale di Pellicciari, la popolazione si è riversata nelle piazze, nelle strade e anche nella casa del loro odierno eroe per brindare e per manifestare l’entusiasmo per il piazzamento del compaesano nell’epica tappa”, si legge su Stadio del 3 giugno 1962.

L’epilogo dei suoi cinque anni da professionista fu nel Giro d’Italia del ’63 quando nella tappa di Oropa si consumò il fattaccio: cinque uomini in fuga e tra questi i suoi compagni Fontana e Zancanaro. Taccone inseguiva e lui a ruota, ma non poteva collaborare… Taccone insisteva ma Nunzio non poteva e Vito inchiodò per farlo cadere e poi gli sferrò un pugno con spinta facendolo cadere nel fossetto… Qui Nunzio batte la testa, finì la tappa ma venne portato all’ospedale di Gattinara per accertamenti.

Il direttore di gara non ci vide chiaro e per non compromettere la salute del corridore lo obbligò a ritirarsi dalla competizione, così per Nunzio fu praticamente la fine della carriera e del sogno di partecipare al Tour de France. Tuttavia, Pellicciari a 28 anni non si perse d’animo e iniziò subito la scalata a una nuova ma differente carriera, che lo ha portato ad essere un affermato manager nel campo dei rappresentanti del settore ceramico. Non ha rimpianti per la vita da ciclista, che comunque gli ha regalato forti emozioni e lo ha temprato e avviato, anche economicamente, a una vita serena e tranquilla con la moglie Camilla e i due figli (Mauro e Monica).

Testo tratto da: http://www.museociclismo.it/. Fonte immagine:  http://www.dewielersite.net/db2/wielersite/ploegfiche.php?id=3988 

 

ANTONIO ACCORSI

 

                         Antonio Accorsi

 

Bagnolo in Piano, 1937

Professionista dal 1960 al 1962, senza ottenere vittorie.

Un corridore che quando passò professionista, si pensava potesse caratterizzarsi come un “gladiatore” di nota, nelle corse dal percorso non aprissimo. Era la proiezione della lettura di ciò che l’aveva caratterizzato da dilettante, ovvero un buon corridore, poco vittorioso, ma di sostanza, perché costantemente tra i primi. Cresciuto nel Velo Club Strucchi di Correggio, giunse al professionismo nel 1960, con la Torpado, che poi sarà l’unico suo team nell’elite del ciclismo. Diciamo che non mantenne completamente le promesse, ma che non fu comunque una delusione, poiché seppe lavorare positivamente per i suoi capitani e concedersi di tanto in tanto qualche sprazzo di protagonismo. Nella stagione d’esordio, fu sfortunato perché fra acciacchi e cadute non riuscì ad esprimersi come poteva e voleva. Si ritirò al Giro e nelle poche corse concluse, arrivò sempre nelle retrovie. Andò decisamente meglio nel 1961, il suo anno migliore. Fu 2° nel Gran Premio Ponzano Magra, 4° nel Gran Premio Cemab Mirandola, partecipò alla Vuelta di Spagna, chiudendola con un onorevole 29° posto (secondo fra gli italiani), arricchito da un 3° posto nella tappa di Valencia, ed un 9° nella tappa a cronometro di Palencia. Nove giorni dopo la conclusione della Vuelta, fu al via del Giro d’Italia del Centenario, che concluse al 70° posto, dopo aver lavorato per il capitano Brugnami. Nel 1962, dopo un promettente Giro di Toscana (15°), partecipò al Giro d’Italia, comunque in non perfette condizioni di salute. Qui, si difese alla meglio, ma crollò come tantissimi, nella famosa tappa della neve, chiusa a Passo Rolle. Successivamente, fu 11° nella Milano-Vignola. A fine anno però, la Torpado lasciò il ciclismo professionistico. Accorsi non cercò altra squadra: decise di chiudere lì con l’agonismo.

Testo e immagine tratti da: http://www.museociclismo.it/
PIETRO PARTESOTTI

 

                    Pietro Partesotti

Classe 1941, in pensione dopo aver lavorato alle dipendenze delle Farmacie comunali, Pietro Partesotti vive da sempre a Reggio Emilia. E’ stato un ottimo ciclista, partecipando a 5 edizioni del Giro, dal 1962 al ’66, al Tour del ’65 (57° nella classifica finale) e a due mondiali. Nel palmares, da buon gregario, c’è solo una vittoria nel Trofeo Cougnet.

Entrato nei professionisti con la Salvarani, ha fatto prima il gregario di Vito Taccone, forte e vulcanico corridore degli anni Sessanta, poi a grandi capitani come Vittorio Adorni e Felice Gimondi. Il 1965 fu l’anno d’oro di Partesotti, con l’accoppiata Giro e Tour, vinti rispettivamente da Adorni e Gimondi, e il titolo mondiale sfiorato. Al Giro sono legati molti bei ricordi di Pietro: ‘‘Ricordo che nel ’66 una tappa arrivò proprio a Reggio, col traguardo in via Kennedy. Mi sarebbe piaciuto vincerla, ma Zandegù in volata bruciò tutti. Io ho avuto grandi soddisfazioni dal ciclismo, allora era uno sport molto più sentito di oggi, per le strade c’erano proprio tutti. Io avevo un mio grande tifoso, Ultimio Campani, che mi seguiva spesso. Siamo rimasti amici anche a carriera finita. Allora le corse a tappe erano massacranti, con frazioni lunghe 270 km che tagliavano le gambe: si partiva presto e ci alzavamo alle 5 di mattina per mangiare. Nel ciclismo di oggi, con tappe molto più brevi, potrei dire qualcosa di più anch’io’’.

Oggi però non sono tutte rose e fiori: ‘‘Il ciclismo rimane uno sport bellissimo, però il doping lo sta rovinando. E’ una vergogna che siano proprio i medici, quelli cioè cui compete la salute degli atleti, i più colpevoli della situazione. Spero che gli organi competenti riescano a ripulire l’ambiente, ma sono scettico perché vedo troppi interessi in ballo. Certo, si prendeva qualcosa anche ai miei tempi (il controllo antidoping nacque proprio a metà degli anni Sessanta, ndr), ma erano solo energetici per arrivare al traguardo’’.

Testo e immagine tratti da: http://www.museociclismo.it/

 

Pietro Partesotti ci ha concesso una simpatica intervista il 27 Maggio 2020, in cui ha rievocato l’arrivo a Reggio della 12a tappa del Giro d’Italia del 29 Maggio 1966, in cui lui era l’unico corridore reggiano presente. Nell’intervista Pietro Partesotti  fa riferimento al fatto di essere chiamato dagli altri “Peppone”, per il chiaro riferimento al Peppone di Don Camillo, e poi ci ha raccontato l’aneddoto dal quale è nato questo suo soprannome. «A sua insaputa, i meccanici di Modena gli avevano attaccato la Falce e Martello sul forcellino, e quando questo fu notato da Magni (notoriamente più Camilliano), il nostro Partesotti rischiò persino di perdere la maglia azzurra. Da lì in poi per tutti nell’ambiente Partesotti diventò “Peppone”.»

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LAURO GRAZIOLI

 

             Lauro Grazioli

Lo scandianese, classe 1943, è arrivato al ciclismo dopo aver sconfitto la tubercolosi contratta da bambino. Dopo una lunga trafila nei dilettanti, con la perla della maglia azzurra indossata al Tour de l’Avenir (il Giro di Francia per dilettanti) e qualche successo, diventa professionista verso la fine della stagione 1966, giusto in tempo per partecipare al Giro di Lombardia, una classica di autunno.

Proprio a quel ‘‘Lombardia’’ è legato uno dei ricordi più belli di Lauro: ‘‘Arrivai 17°, fu il mio risultato migliore. Vinse Gimondi davanti a Merckx, ma il bello è che c’era pure Anquetil, il mio idolo da ragazzo e da dilettante, quando vinceva un Tour dietro l’altro. Avevo sempre desiderato conoscerlo, ora addirittura gareggiavo insieme a lui: il massimo, insomma’’.

Grazioli corse da professionista per tre stagioni, le prime due nella Salamini del capitano Adorni, la terza, anno 1968, nella Faema, con lo stesso Adorni ma con Eddy Merckx come capitano (e il “Cannibale” vinse il primo dei suoi 5 Giri). Il destino è stato però beffardo con Lauro, negandogli per due volte la possibilità di partecipare al Giro d’Italia:

‘‘In entrambe le occasioni mi sono ammalato nel corso del ‘Romandia’, che si corre poco prima e proprio in preparazione al Giro: la malattia che avevo superato da bambino si rifaceva viva in quelle tappe svizzere’’.

Nel ’68 a Scandiano organizzarono il ‘‘Criterium degli Assi’’ proprio per celebrare il beniamino di casa, che però dovette fare i conti con il ‘‘Cannibale’’, suo capitano: ‘‘Ero in coppia con Michele Dancelli, gran corridore nelle corse di un giorno, mentre Merckx correva con Adorni.

Dancelli mi disse che non gliene fregava niente del belga e di correre per vincere. Infatti ci aggiudicammo la classifica assoluta, ma Eddy non si lasciò sfuggire la volata finale: era fatto così, prese il prosciutto in palio e se ne andò’’.

Poco dopo Grazioli chiuse la carriera: ‘‘Noi gregari guadagnavamo poco più di un operaio. Mi sono accorto che guadagnavo di più col negozio di articoli sportivi che nel frattempo avevo aperto e, invece di passare con Adorni alla Scic, ho preso un’altra strada’’. Da anni Lauro Grazioli gestisce un avviatissimo negozio, il Centro Premi Scandiano. E’ sempre in contatto con i compagni di un tempo, in modo particolare con il suo vecchio capitano Adorni.

Testo e immagine tratti da: http://www.museociclismo.it/

 

MAURO DE PELLEGRIN

 

                          Mauro De Pellegrin

De Pellegrin, classe 1955 (Reggio Emilia), inizia a correre tardi, a 16 anni, nella categoria degli allievi con la Rubertex Bagnolese. E’ il 1971, un primo anno di esperienza che serve da semina per raccogliere i frutti già l’anno successivo; infatti con la stessa maglia e nella stessa categoria giungono 10 vittorie. Il 1973 lo vede approdare alla categoria dilettantistica in maglia Termolan. Due anni alla corte di Bruno Reverberi, per fare esperienza ed imparare l’uso dei lunghi rapporti. Nel 1975 si trasferisce alla Giacobazzi dove resterà fino alla fine della sua carriera, che terminerà 7 anni più tardi, da vincitore, indossando la maglia Tricolore della sua specialità: la corsa contro il tempo. Il ragazzo reggiano si esalta entrando di diritto nella Nazionale della 4×100 km. La sequenza dei sui risultati è impressionante. Nel 1977 è argento al Campionato del Mondo a San Cristobal in Venezuela (con Bernardi, Da Ros e Porrini) dietro al quartetto Russo formato da Pikkuus, Chaplygin, Kaminski e Chukanov. Nel 1979 vince l’oro ai Giochi del Mediterraneo a Spalato. Nel 1980 è quinto alle Olimpiadi di Mosca in compagnia di Giacomini, Maffei e Minetti. E’ azzurro della specialità dal ’77 al ’’82. A questo vanno aggiunte una serie di vittorie su strada fra cui 2 Milano-Reggio, un Trofeo Baracchi con il compagno di colori Stefano Boni, 2 Titoli Italiani Cronometro Individuale nel 1980 e nel 1982. A fine ’82 cessa l’attività senza essere mai passato professionista.

Testo  tratto da: http://www.museociclismo.it/ –

Fonte immagine: Pubblicazione Rauler 50 anni – Anniversario 1970-2020

 

 

3 risposte

  1. Partesotti partecipò anche al Tour de l’Avenir (per dilettanti) del 1962, e mi sembra che nelle prime tappe fosse in predicato di vincerlo. Poi forse prese una “cotta” perdendo posizioni: ma sono miei vaghi ricordi di bambino.

    1. Glielo chiederò, visto che lo conosco. Grazie per i suoi commenti e per seguirci sempre con molta attenzione.

    2. I suoi ricordi sono corretti. Ho sentito Pietro Partesotti e mi ha confermato che era in testa alla classifica del Tour dell’Avvenire per dilettanti (è incerto se 1961 o 1962) fino alla penultima tappa, dove arrivò secondo sull’Izoard alle spalle di Antonio Gomez del Moral. Poi il giorno dopo andò in crisi profonda pagando la fatica di quella salita. Mi ha pregato, pur non conoscendola, di farle i suoi migliori auguri.
      Cotrdiali saluti

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