All’inizio di questa mia incursione nel primo libro di Pasolini, Poesie a Casarsa era per me solo un titolo rivestito dal mito. Semplicemente, avevo solo la vaga nozione che quella raccolta di poesie rappresentò una svolta fondamentale nella poesia dialettale italiana, tanto che fece scandalo.
L’idea di “tradurle” nel dialetto reggiano, buttata lì tra un piatto di tortelli e un bicchiere di lambrusco mentre si parlava del nostro dialetto, mi sembrò subito un’operazione impossibile da realizzare in modo degno, non tanto perché i due dialetti appartengono a due “ceppi linguistici” diversi, quanto perché sarei stato un minuscolo David, completamente nudo contro un Golia della cultura italiana.
Poi, dopo solo pochi giorni, la curiosità (e l’incoscienza) senile, condivisa con gli amici, ci ha fatto dire: “Perché no? Possiamo provarci”; anche altri hanno tradotto libri dall’italiano al dialetto e, addirittura, dall’inglese al dialetto reggiano.
Noi non avremmo “tradotto” il testo, ben consapevoli che per tradurre bene si deve spesso saper “tradire” l’originale. Una vera traduzione potrebbe farla (ammesso che sia possibile) solo chi conoscesse perfettamente entrambi i dialetti, cosa abbastanza improbabile, perché come è impossibile avere due madri così è molto improbabile avere due lingue madri dialettali. Noi avremmo “trasposto” il testo nel dialetto reggiano, utilizzando il metodo della “stele di Rosetta ”, facendo riferimento dunque in modo rigoroso al testo italiano scritto dallo stesso Pasolini. [Per semplicità parleremo d’ora in poi di traduzione, ma con questo significato limitativo]. Ci saremmo limitati alle 13 poesie della prima parte del libro, tralasciando il testo La Domenica Uliva che costituisce la seconda parte.
Infine, ogni reticenza ad intraprendere l’impresa è venuta meno quando abbiamo scoperto che Pasolini aveva chiesto e, sembra, non ottenuto (almeno in forma scritta) dall’amico Luciano Serra la traduzione in dialetto reggiano di una delle sue Poesie a Casarsa, evidentemente per sentire come “suonava” in quest’altra lingua (1).
Idealmente, abbiamo provato a rispondere noi a Pasolini, curiosi di sentire l’effetto di questa nostra léngua mêdra, piena di consonanti gutturali, di vocali lunghe, di esse sibilanti, quando la si applica ad una poesia pura, e non più a testi comici, satirici, di ambientazione popolana o per descrizioni paesaggistiche.
Se non abbiamo coscientemente tradito Pasolini, speriamo di non averlo poeticamente travisato.
Al lavoro!
Il primo ostacolo è stata la comprensione dei testi. Non è sufficiente mettere assieme le parole del dialetto reggiano corrispondenti all’italiano come se fossero le perle di una collana per essere soddisfatti. Pasolini si rifà ai movimenti letterari dell’ermetismo e del simbolismo, dove la poesia è chiusa, complessa, parla per immagini che vogliono suscitare emozioni più che raccontare una storia facilmente comprensibile.
E’ come ascoltare una grande sinfonia: per apprezzarla bisogna ascoltarla tante volte, poi le atmosfere vengono evocate e le emozioni nascono. I testi allora non dicono in maniera esplicita ciò che il poeta vuole comunicarci, tanto che il critico Ercole Carletti, uno dei primi a recensire l’opera ebbe a dire:
Abbiamo cercato allora di conoscere quali erano gli stati d’animo e i pensieri di Pasolini nei mesi in cui scrisse questa raccolta e come questi pensieri si siano calati nei testi delle poesie. Inoltre, ci siamo avvalsi della lettura di alcuni testi di recensione dell’opera che, fin dall’uscita del libro, ne hanno intuita l’importanza, nonostante a quel tempo Pasolini fosse un perfetto sconosciuto(3,4) . Una traccia importante che abbiamo seguito nella redazione di questa nota è stata poi l’opera Vita di Pasolini di Enzo Siciliano (5).
Casarsa e il dialetto
Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna nel 1922, da padre bolognese (Carlo Alberto) e madre friulana (Susanna Colussi), di Casarsa. Durante la sua giovinezza è costretto a vari trasferimenti per seguire il padre, ufficiale dell’Esercito, compreso un breve periodo di soggiorno a Scandiano e di frequentazione del ginnasio a Reggio Emilia. Si trasferisce poi a Bologna dove si iscrive alla facoltà di lettere.
E’ insoddisfatto della letteratura accademica e rivolge la sua attenzione ad autori moderni, italiani (quali Ungaretti, Montale, Luzi, Cardarelli) e stranieri, quali i francesi Rimbaud, Verlaine e Mallarmé e gli spagnoli Juan Ramón Jiménez, Antonio Machado e Federico Garcia Lorca. Si avvicina anche alla letteratura dei trovadori provenzali del XII-XIII secolo, ammirandoli per aver saputo elevare la loro lingua orale a lingua letteraria, non più legata al latino.
A Casarsa vive nei periodi delle vacanze estive e si avvicina così al dialetto friulano. Nell’estate del 1941 accade un episodio narrato dallo stesso Pasolini, che darà il via alla composizione di Poesie a Casarsa:
Era Livio, un ragazzo dei vicini oltre la strada, i Socolari, a parlare. Un ragazzo alto e d’ossa grosse …Proprio un contadino di quelle parti… Ma gentile e timido come lo sono certi figli di famiglie ricche, pieno di delicatezza. Poiché i contadini, si sa, lo dice Lenin, sono dei piccolo-borghesi. Tuttavia Livio parlava certo di cose semplici e innocenti. La parola “rosada” pronunciata in quella mattina di sole non era che una punta espressiva della sua vivacità orale. Certamente quella parola, in tutti i secoli del suo uso nel Friuli che si stende al di qua del Tagliamento, non era mai stata scritta. Era stata sempre e solamente un suono.
Qualunque cosa quella mattina io stessi facendo, dipingendo o scrivendo, certo mi interruppi subito: fa parte del ricordo allucinatorio. E scrissi subito dei versi, in quella parlata friulana della destra del Tagliamento, che fino a quel momento era stata solo un insieme di suoni: cominciai per prima cosa col rendere grafica la parola ROSADA.
Quella prima poesia sperimentale è scomparsa: è rimasta la seconda [Il níni muàrt] che ho scritto il giorno dopo”.
Pasolini nota inoltre, da ascoltatore attento e preparato, delle leggere distorsioni individuali del dialetto degli abitanti di quel posto, che ne fanno una lingua viva e ideale per esprimere la sua poesia. Scrive:
In realtà, l’avvicinamento di Pasolini al dialetto friulano è stato più complesso, basato su una serie di sperimentazioni, anche se compiute in brevissimo tempo. Anni dopo, durante un’intervista, dirà:
Lettura critica di Poesie a Casarsa
Per quanto riguarda la “sostanza” di Poesie a Casarsa, bisogna rifarsi ad altri aspetti del vissuto di Pasolini che, anni dopo la pubblicazione del libro, confesserà che la sua vita a Casarsa si svolgeva:
A questo mondo il poeta si rivolge sotto la forma della petizione. Straniero, egli parla una lingua diversa –“Oscuro/senso le mie parole a chi d’altri luoghi mi sa” – ma benché estraneo a questo mondo, chiede di appartenervi: – “Il mio volo ha ali/ per essere come voi” ( – Ma c’è un’estraneità ancora più emarginante: quella dell’eros, che non sa ancora quali deserti deve attraversare per sentire una voce concorde o complice. “Intoccabile fuoco arde il mio corpo/ a chi è fanciullo, e da lungi mi guarda.” (8)
Pasolini prova l’inquietudine del passaggio dalla giovinezza all’età adulta. In una lettera ad un amico, parla della sua sofferenza per non riuscire a lasciarsi dietro il vissuto di “adolescente ipersensibile e malato”:
Pasolini dunque si sente straniero in quella terra, diverso dai contadini che la abitano per lingua, cultura ed estrazione sociale. Diverso per il suo profondo narcisismo e per le inclinazioni sessuali che cominciano ad affiorare, anche se vengono ancora tenute nascoste agli amici, ma che sono velatamente presenti anche nei versi di Poesie a Casarsa.
Gianfranco Contini, uno dei più importanti critici letterari del ’900, fu il primo a scrivere una recensione di Poesie a Casarsa, utilizzando la parola “scandalo”, parola che avrebbe accompagnato la vita di Pasolini.
Contini mette al centro del libretto, come suo punto di equilibrio, “l’ascesi dell’uomo sul proprio corpo”.
Enzo Siciliano riprenderà l’analisi di Contini, ma sarà ancora più crudo.
Il tema della morte percorre tutta la raccolta, a cominciare dal Nìni muàrt, come un ossessione o un incubo o, si potrebbe dire con il senno di poi, del presentimento (Al fratello: “i ricuàrdi —quànt che tu ti âs dit: «Ta la tò man l’è il segn/d’amòr e da la muàrt” [io ricordo – quando tu hai detto: ”Nella tua mano c’è il segno/ d’amore e della morte”].
Altri temi presenti in Poesie a Casarsa sono quelli della solitudine (in Pioggia sui confini; Fuga) e del ricordo (in: Il Nìni muàrt; Al fratello; Canto delle campane; O me giovanetto)., che deriverebbero dalla suggestione dei poeti spagnoli Machado e Lorca.
Suoni, colori e ambiente
Casarsa è citata solo una volta in tutta la raccolta (O me giovanetto): in realtà è un luogo “poetico” e non un luogo fisicamente determinato. Illuminante infine, per una migliore comprensione dei testi è l’analisi fatta da Doi Hideyuki (9):
Insomma, le immagini riflettono la condizione mentale dell’io: «tal plan rampìt o mìrie, jo soi bessòl» “nella spoglia pianura, o meriggio, io resto solo” (Fuga); «in ta l’ùltime albàde, o sére, jo soi bessòl» “nell’ultima schierata, o sera, io resto solo” (ibid.); «tai prâs sidinamìnt / mi puàrte la ciampane» “sopra i prati silenzio mi reca la campana” (Per un ritorno al paese, vv. 31-32); «Sùne il Rosàri, pai prâs al si scunìs: / jo soi muàrt al ciànt da lis ciampànis» “suona il Rosario, pei prati s’affioca: io sono morto al canto delle campane” (Canto delle campane, vv. 5-6); ….
Casarsa, il luogo che svanisce, delinea l’intera realtà rappresentata nelle poesie di Pasolini, il suo mondo poetico. Parallelamente a questo paese, tale realtà non viene espressa esaustivamente ma risulta inafferrabile.
Le difficoltà della “traduzione”
Pasolini, in chiusura del volumetto, dichiara che nel testo italiano ha variamente tradotto alcuni termini dialettali “che, in realtà, restano intraducibili”.
In alcuni casi però il dialetto reggiano offre una soluzione seppur approssimativa. Ad esempio, “imbarlumide”, viene tradotto in italiano da PPP con “ultimo barlume (della sera) nel Il ninì muàrt, ma “imbarlumis” diventa “acceca” in O me giovanetto. In reggiano i due termini sono stati resi rispettivamente con “imbarbajêda” e “imbarbaja”, nel senso di “abbaglio”, confortati in ciò dal significato attribuito a questo termine dal vocabolario friulano Nuova Pirona consultato da Pasolini.
“Svampidìt” (vanisce), è diventato “švanéss”: il suono è certamente diverso ma c’è ancora una certa corrispondenza tra i due termini.
In molti altri casi la distanza fra le due lingue è troppo grande per poter aver una certa corrispondenza della sonorità o mantenere la metrica del verso.
Un’altra difficoltà si è riscontrata nell’interpretazione del significato dei diversi appellativi con cui Pasolini si rivolge ai personaggi presenti nelle poesie. In questo caso, la traduzione italiana, probabilmente non porta con sé il carico di suggestioni che il termine originale possiede, e questo ancor meno nella versione reggiana:
Nel testo in friulano | Nel testo in italiano | Nel testo in reggiano |
donzèl | giovanetto, adolescente | zuvnètt, zuvnèin |
fantasùt, fantasùte | ragazzetto, ragazzetta | ragasètt, ragasèta |
fantàt | amico [ma la traduzione letterale sarebbe: giovane, giovanotto] | zuvnôtt |
fi | figlio, ragazzo | fiôl |
frut | fanciullo | putèl |
frutìn | fanciullo | putín |
nìni | fanciullo | putín |
1. Pier Paolo Pasolini: Lettera a Luciano Serra del 20 agosto 1941 “Riscrivo con la traduzione El nini muart; perché, tu, Luciano lo traduca in reggiano e me lo faccia vedere”.
2. Ercole Carletti, Pier Paolo Pasolini, Poesie a Casarsa, «Ce fastu? Bollettino della Società Filologica Friulana», a. XVII, n. 6, 31 dicembre 1942, p. 225-226.
3. Gianfranco Contini: Al limite della poesia dialettale, Corriere del Ticino, 24 aprile 1943.
4. Antonio Russi, Poesie a Casarsa di Pier Paolo Pasolini, «Primato», a. IV, n. 13, 1° luglio 1943, p. 239.
5. Enzo Siciliano: Vita di Pasolini, Giunti Editore, 1995.
6. Il sogno del centauro. Un’intervista di John Duflot. In: Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti e S. De Laude, Milano, Mondadori, 1999, p.1411.
7. Studi che hanno approfondito il problema della lingua di Pasolini in Poesie a Casarsa si possono trovare in: Pasolini poeta dialettale, a cura di G. Borghello e A. Felice, Marsilio editore. 2014.
8. Nico Naldini: Cronologia, p. LXXI. in Pasolini, tutte le poesie, vol. 1, I meridiani, Arnoldo Mondadori.
9. Doi Hideyuki: L’ esperienza friulana di Pasolini. Cinque studi. Franco Cesati Editore, 2011.
10. Rienzo Pellegrini: Pasolini a Casarsa, in «Metodi e ricerche», n.s., a. XI, n. 2, luglio-dicembre 1992, pp. 3-34, 1992, citato in Doi Hideyuki, ref. 9.
11. Pier Paolo Pasolini, Atti impuri, in: Pasolini. Romanzi e racconti, p. 40. I Meridiani, Arnoldo Mondadori.