“Dogarolo” (in italiano non esiste un vocabolo specifico), è l’addetto alla manutenzione, allo smistamento delle acque e alla sorveglianza dei canali d’irrigazione, deriva dal latino volgare “dugaro“: canale che riceve l’ acque piovane dalle campagne (Muratori), a sua volta pare derivare dal latino classico “dŏga ” nell’antico significato di “specie di vaso impiegato come unità di misura per i liquidi” a sua volta dal greco “dokhe“: recipiente, ricettacolo, vaso. Da “dŏga“, vaso, si è passati a “dŏga” fossa da cui è derivato il latino medioevale “dugaria“: fossa, fosso canale di scolo delle acque in un terreno (da cui deriva anche l’italiano “dogaia“: canale di scolo in un terreno), quindi il tardo latino “dugarius“: canale di scolo, da cui “dogaro”: canale che riceve l’ acque piovane dalle campagne, infine “dugarōl“: addetto al governo delle acque di irrigazione, addetto alle chiaviche.
Nel “Nuovo elenco di voci e maniere di dire” di Lorenzo Molossi 1829-1841 si legge: «Dogaja: fossa di scolo. È un vecchio vocabolo, non ancora spento in Italia, che in latino barbaro scrivevasi “doga, dugaria, dugalia”; come si può vedere in molte cronache, e negli statuti municipali. Nel parmigiano “dugara” è ancor vivo, e per lo più s’intende il pozzo- nero, ossia “bottino”. “Dogaja” l’ ho letto ne’ Bandi Antichi di Toscana (1565): “Et inoltre ciascuno sia obbligato per quanto tiene il suo… smacchiare ogni sorta di fosse, fossoni…. dogaje et tutt’ altre simili”.»
Sul “TLIO” (Tesoro della Lingua Italiana alle Origini) si legge: «Dogaia (latino medioevale “dugaria“), documento fiorentino, 1338. In contesti latini, il termine è attestato in documenti rogati in Toscana a partire dal sec. XI. Documento fiorentino, 1277-96: “un chanpo di terra […] che ssi dicie a Doghaia”. Canale di scolo delle acque in un terreno.»
Nel Dizionario della lingua italiana di Cardinali del 1821 si legge: «Dugaja: campagna o terreno per cui passava, altre volte canale o fosso di scolo e di scarico d’acque, fatto apposta per asciugare i luoghi bassi umidi, e gli acquitrini. “Dugaja” è voce comune a tutti i Toscani»
I vocaboli “esdugarius, usdugaro, dugale, dugaria” indicanti “canale, fossato” si possono leggere nell’Archivio capitolare modenese del 1194, nell’ Archivio notarile di Modena (Statuta civitatis Mutinae) del 1272 e nel Catasto di Carpi del 1468.
Il Du Cange: «Dugaria: fossa vel canalis, ut conjecto, a doga» ossia ‘dugaria fossa o canale, comunque connesso, a doga’ .
Da quello che si legge “dugale” e “dugarōl” derivano entrambi dal latino volgare “dugaro” a sua volta dal classico “dŏga “, “dugale” indica “condotta d’acqua” più o meno grande.
: in reggiano veniva usato nell’espressione scherzosa “cantêr l’eructâvit”: ruttare, dar di stomaco. Vocabolo curioso, arcaico e in disuso, preso pari pari dalla terza persona del perfetto indicativo del verbo latino “ēructo, ēructas, eructavi, eructatum, ēructāre”: rimettere, vomitare, eruttare, spandere, sprigionare, emettere, ruttare.
Fatto curioso, pare che si trovi in tutti i dialetti settentrionali senza che abbia subito modifiche sia nel significato che nella grafia.
Nel reggiano G.B.Ferrari: «Eructàvit: voce latina che si usa nella frase figurata “cantèr l’ eructàvit”: vomitàre, récere.»
Nel bolognese C.Ferrari: «Eructavit: voce latina che i bolognesi usano nella frase far eructavit, a cui s’aggiugne alle volte “cor meum”. Vomitare. Recere. Eruttare. E fig. vale restituire quanto s’è avuto indebitamente.»
Nel Milanese Cherubnini «Eructàvit: voce latina che si usa nella frase figurata “fa on eructàvit”: vomitare, recere, eruttare»
Nel Piemontese Vittorio Sant’ Albino: «Eructavit: voce lat. che si usa nella frase “fé un eructavit”. Ruttare, eruttare, vomitare, recere; e scherz.: rivedere i conti.»
Nel Parmigiano Peschieri: «Eructavit: vomitare, recere, eruttare.»
Altro fatto curioso: pare che questo vocabolo sia stato preso dal “Salmo 44 – Eructavit core meum” preso dal “Libro dei Salmi” attribuito a Davide. Il Salmo 44 è di genere letterario chiamato “epitalamio”, termine difficile, greco, che vuole semplicemente dire “canto per il matrimonio”. È nato come un testo per allietare le nozze di un re d’ Israele. Pare che le nozze siano quelle celebrate tra Salomone e la figlia del re di Tiro.
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