LÉNGUA MÊDRA

Rèș e la nôstra léngua arsâna

ETIMOLOGIA O-P

O

Ósta

Deriva da “usta” un dialettale di origine incerta. Potrebbe derivare dal latino “ustulare”: bruciare o più probabilmente da “nastare”: fiutare, con perdita della “n” scambiata per l’articolo, voce dialettale settentrionale che deriverebbe dal latino parlato “nasitare” derivato dal latino dotto “nasum”: naso, odorato

P

Panêr

Panêr: appannare, velare, condensa che si forma sui vetri freddi per l’umidità dell’aria o di un alito, deriva da “panno”: velo, copertura , da latino “pannus”, forse affine al greco “το ρούχο”, greco dorico “pãnos”, entrambi significano “pezzo di stoffa” e risalgono ad una base accadica “panu”: coperta da letto, lato superiore di un panno.

Pastarêşa

Pastarêşa: pasta rasa, un prodotto della cucina tradizionale della provincia di Reggio, come l’italiano anche il termine reggiano è composto da due vocaboli “pasta-rêşa”, “pasta- ” dal latino tardo “pasta”, a sua volta dal greco “πάστη”: pastá, farina mescolata con acqua e sale, derivazione di “pássō”: impasto e da “- rêşâ” derivato dal latino volgare “rasare” alterazione del classico, “rādĕre”: radere, rasare, raschiare, rastrellare anche toccare di sfuggita, sfiorare.
La “pastarêşa” ha una storia lunga secoli, sorella dei passatelli, le sue origini si dice siano risalenti all’epoca romana, ma essendo un piatto della cucina povera, le prime tracce scritte sono comparse solo dopo il Settecento. In origine l’uso di questa ricetta era un modo più economico per il recupero del pane raffermo, che veniva prima macinato poi unito al Grana Reggiano, alle uova e un pizzico di noce moscata, impastato fino ad ottenerne un miscuglio compatto, poi grattugiato per ricavarne un insieme di pezzetti che, cotti in pochi minuti e consumati in brodo, offriva alle antiche famiglie contadine un po’ di sostegno nelle giornate nebbiose e nelle fredde serate invernali.

Pavēra

Pavēra: pavera, paviera, (termine di probabile origine veneta), nome di piante palustri diverse, come giunchi, carici, tife, ecc. dal latino ” (herba) papyriă”, derivazione di “papyrus”: papiro. Sul “Lessico botanico popolare della provincia di Cremona dialettale, etimologico” Valerio Ferrari dice: «Questa definizione riguarda due specie di piante, la lisca marittima e il giunco fiorito, caratteristiche di luoghi acquitrinosi e da noi più frequenti, e talora abbondanti, nel settore meridionale della provincia. In realtà sembra che anche alcune specie più grandi del genere “Cyperus” siano identificate con il nome a lemma. Il loro aspetto generale e la taglia medio-grande le ha fatte avvicinare all’immagine del papiro, donde la derivazione del nome dialettale da “(herba) papyrea”: (erba) simile al papiro. Del resto già Pietro de’ Crescenzi, agli inizi del XIV secolo, poteva dichiarare: “papirus… dicitur apud nos iuncus” » ossia ‘ papiro… tra noi chiamato giunco’.

Pièt (a)

Pièt (a): indistintamente, dal dialetto versigliese “appiètto”: interamente. Fare appiètto: finire completamente qualcosa. Deriva dal latino volgare “applictum”: ammucchiamento; strumento, da “applicltum”, partitivo di “applica”, probabile influenza del provenzale “apleit”: ‘vomere’.
Dal “Catalogo degli antichi nomi di luogo della Versilia” di Vincenzo Santini:
«Appiétto: termine tutto versiliese che indica scerpare alla rinfusa; per esempio: “è andato alla vigna e ha fatto appietto dei fichi”, “ha colto l’uva appietto”».
«Appiétto: si dice di una messe abbondante; per esempio: “le ulive vi erano appietto”; così si dice: “costui entrò in casa e si fece a mangiare appietto i fagioli”, eccetera; oppure: “fece appietto nel portar via”».

Prân

“Prân: assai, ben, pure, è un rafforzativo; pare derivare dal provenzale “de plan” derivato dal latino “planum”. In “Don Denis – Poesie D‘Amore”, titolo di una tesi di laurea della Scuola di dottorato di ricerca in Scienze linguistiche, filologiche e letterarie con indirizzo di Romanistica dell’università di Padova, si legge: «l’avverbio “pran”, normalmente preceduto dalla preposizione “de”, e, sporadicamente, da “a”, ha il valore di “senza dubbio, certamente, in verità”, ed è documentato esclusivamente nei testi poetici. Dal latino “plānum”, entrò nel linguaggio poetico probabilmente attraverso il provenzale “de plan”». Il Don Denis citato in questa tesi, è il sesto re del Portogallo (1279-1325), il quale fu il più prolifico tra i trovatori profani galego-portoghesi.

“De plan”, trasformato nell’italiano antico “di piano”: con facilità, agevolmente, lo troviamo citato in “Voci e locuzioni italiane derivate dalla lingua provenzale” di  Vincenzo Nannucci del 1840 dove, tra le altre cose, si legge: «In secondo luogo, fa veramente ridere quell’andare pescando, com’ essi fanno, l’origine dell’ avv. “di piano” nella lingua Spagnuola e nella Sarda, non essendo che locuzione de’ Provenzali, che dal latino “de plano” dissero “de plan”, che vale “perfettamente, chiaramente, manifestamente, alla scoperta, totalmente, affatto” ecc.; da cui i nostri Antichi “di piano”.»

Il latino “planum” deriva da “plānus”: chiaro, evidente”