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LÉNGUA MÊDRA

Rèș e la nôstra léngua arsâna

ETIMOLOGIA M-N

M

Macóba

Macóba: macuba, tabacco da fiuto; gergalmente cocaina. Dal francese “macouba”, dallo spagnolo “macuba”, da Macuba, nome di una località nell’isola di Martinica.
Zanichelli «Macuba: tabacco da fiuto costituito da farine a grana grossa, fermentate e profumate originariamente con essenza di geranio, dal nome della località di Macuba, nell’isola di Martinica, delle Piccole Antille.»
Il Pianigiani: «Sorta di tabacco da naso, coll’odore di mammola, ed una volta preparato collo zucchero greggio e con essenza di rose, che trae il nome da un distretto della Martinica, dove si prepara.»
Un tabacco forse non più reperibile però il nome può essere sentito ancora in alcuni modi di dire: “trîd cme la macóba”: in miseria nera; “vècia cme la macóba”: vecchia decrepita.

Maslêr

Maslêr: potrebbe derivare dal tedesco medioevale “metzler”: macellaio, da “metzær”: macellare.

Mignîn

Mignîn: era un wafer quadrato della Wamar, una storica azienda dolciaria torinese il cui nome è l’acronimo delle iniziali del suo fondatore, il commendator Walter Marchisio. Il nome “wafer”: cialda pare derivare dall’antico inglese “waba” (a sua volta sembra derivato dall’antico alto tedesco “waba, wabo”), che indicava il nido delle api; di fatto, la superficie del biscotto è stampata con una sorta di reticolo che ricorda appunto l’alveare. Vennero prodotti per la prima volta su scala industriale con il nome di “Neapolitaner wafer” (wafer di Napoli) dall’azienda austriaca Manner nel 1898. Il termine “Neapolitaner wafer ” deriva dall’utilizzo di nocciole napoletane per la preparazione della farcitura. La cialda “wafer” nasce attorno XV secolo d.C. ad opera di pasticceri “cialdonai” fiorentini. Questi, mediante uno stampo a tenaglia e sfruttando il calore diretto del fuoco, producevano e divulgavano qua e là per tutta Europa le prime cialde-wafer.
Curiosità.
Il termine “mignin” in piemontese significa gattino ed è il diminutivo di “migno” gatto, questo lo possiamo dedurre dal ” Vocabolario piemontese” di Maurizio Pipino del 1783 dove si può leggere: «Mignin, diminutivo di Migno V.” e “Migno, (così si chiama da piccoli bambinelli il gatto, per essere la voce più comoda alla loro pronuncia) micio”, sul “Gran dizionario piemontese-italiano» di Vittorio Sant’Albino del 1859, sul “Vocabolario piemontese-italiano e italiano-piemontese” Di Michele Ponza del 1846, sul “Vocabolario base Piemunteis/Italiano” del 2008: «mignin: gattino, micio». È stato un biscotto tanto caro al palato dei bambini degli anni 50 fino agli anni 80 quando l’azienda dolciaria ha chiuso i battenti. Alcune generazioni di reggiani hanno mangiato i “mignîn”, penso che nessuno sapesse la storia di questa leccornia, spesso la vedevano solo per Natale come addobbo attaccato con un filo a un ramo dell’albero assieme a un qualche mandarino e a una qualche caramella. In Storie Piemontesi: “Le merende dei bambini Anni Cinquanta di Sergio Donna del 28 Novembre 2018 si legge: “Forse il nome di quei wafer si era ispirato ad una cantilena fanciullesca, piuttosto conosciuta a quei tempi, che faceva più o meno così: “Prima mignin, seconda gatin, tersa gatassa, quarta ramassa, quinta scopassa”, ma non ho trovato nessuna altra fonte per confermare quanto detto nell’articolo. Questa cantilena è l’elenco della successione delle classi scolastiche elementari. In “Quatro ciàcoe”, dialetto di Rovigo, vengono ricordati così: «E dopo a xe rivà la moda de i mignini, e le robe le xe canbià in mèjo. I jera fati, sti mignini, come i “wafers” de onquò, ma più grossi, alti e larghi come on tòco de saon da lavare, e come gusto i saéva de vanìlia».

Môro

Môro: moro, uomo bruno; dal latino “Maurus”: abitante della Mauritania, mauro, mauritano; africano, diventato poi “morus”: moro, scuro; dal greco “mavros”: nero, scuro,
Fa parte di un detto famoso in voga un po’ di tempo fa: “t’ al dâgh mé ‘l tabâch dal Môro!” letteralmente ‘te lo do io il tabacco del Moro’, con il significato ‘te le do di santa ragione’, “non te la faccio passare liscia” indica una punizione esemplare; è derivato dall’espressione francese “passer à tabac”: pestare, picchiare qualcuno di santa ragione. Ha origine dalla locuzione del linguaggio marittimo francese, “coup de tabac” la quale è la definizione che viene data a una tempesta breve ma violenta che rischia di fare danni o affondare l’imbarcazione. Deverbale di “tabasser”: colpire qualcuno, la cui radice “tab” significa “battere, colpire”, incrociato con “tabac”: tabacco. Nel XIX secolo, “tabac” ha assunto il significato di “botta, colpo”. “Passer à tabac” significa quindi colpire violentemente qualcuno o qualcosa. Traducendo, erroneamente, l’omografo “tabac” in “tabâch”: tabacco, il dialetto ha personalizzato il detto con una famosa e antica marca di tabacco da fiuto, fine e, pare, molto costosa, appunto “Il Tabacco del Moro”. Questo tabacco, a differenza di quelli che arrivano dalle piantagioni spagnole centrali e meridionali che venivano chiamati con il nome dei paesi d’origine, ha assunto il nome del disegno, che era sul pacchetto, ossia la testa di un uomo dalla pelle scura che avrebbe dovuto siboleggiare uno degli schiavi che lavoravano nelle piantagioni di tabacco in America ma “Il tabacco del Moro” era coltivato in Italia fin dal 1800 e, precisamente, a Cori in provincia di Latina. Nel 1831, sotto Papa Gregorio XVI, la coltivazione del Moro fu soggetta a monopolio, i produttori del Moro di Cori avevano l’obbligo di vendere le foglie ai dignitari della Corte pontificia che lo facevano lavorare per ricavarne tabacco usato per preparare le polveri da fiuto per il clero. Passato al Monopolio di Stato fu poi confezionato con il nome di Nostrale.

N

Nèsi

Nèscio, ignaro, inconsapevole, che non sa; da latino “nescĭo”: ignorare, non sapere, non conoscere, non riuscire, non potere, non essere in grado di…, da “nescius”, dal tema di “nescire” composto dalla negazione “ne” e da “scire”: sapere, ossia ‘non sapere’.

In reggiano usato quasi esclusivamente nella locuzione “fêr al nèsi”: fare finta di ignorare, di non capire qualche cosa, ha lo stesso significato e l’ uso di “gnorri”. L’italiano “nèscio” ha dato origine all’ aggettivo “neciente”: essere ignaro, all’oscuro di qualche cosa e all’avverbio “nescienteménte”: senza rendersi conto di… . 

Pianigiani scrive: «Nescio o nèsi dal latino “nescius”: che non sa; composto da “ne”: non e tema di “scire”: sapere. Formula famigliare che si adopra con il verbo “fare”: “fare il nescio” per dire ad alcuno che ostenta di non capire».