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LÉNGUA MÊDRA

Rèș e la nôstra léngua arsâna

 

18° CONCORSO DI POESIA IN DIALETTO REGGIANO
organizzato dall’Associazione Culturale e di Promozione Sociale 
“Il Paese che Canta”

 

Il giorno 15 settembre 2024, nell’ambito della Fiera d’Ottobre di Sant’Ilario si sono svolte le premiazioni del 18° concorso di poesia dialettale. Riportiamo qui i testi e le dizioni delle poesie vincitrici del 1° e 2° posto, presentate rispettivamente dagli amici Denis Ferretti e Corrado Barozzi. 

DENIS FERRETTI – 1°classificato

 

La nôt ròsa

M eşvèli e m mânca ‘l fiê.
Gh ò d nōv a stêr in pē.
A n s fērma mia la tòsa,
vâgh fōra e… la nôt l ē ròsa!

J ân dét per via dal clima ‘drē cambiêr,
al cēl a m pêr ch al sia drē a sangonêr,
cm ē i me pinsēr da ânma dereléta,
cu’ agli óngi e cun i dèint tachê a la véta.

L’ē la nôt ròsa e ‘n am la sûn mia pêrsa,
mó ‘m sèmbra che ‘l mònd al sia tót a ‘l arvêrsa.
A ‘m pêr che la véta la sia na buşìa
ch et pèins che t agh l’ê, ma la t vōla via.

L’ē la nôt ròsa,
ròsa cm ē na frîda,
n s vèd mia in do’ l’incumîncia,
t sê sōl ch l’ē mai finîda.

Fōrsi l’ē sōl na fôla,
‘n insòni, na buşia,
cunpâgn a la me véta
ch a n sò mia cuş la s sia.

Dal vôlti gh ò paûra
ch la sia inmaginassiòun,
dal vôlti gh ò paûra
ch la sia sōl fantaşìa,
che un dé t at lēv d bonōra,
e t vèd che t an gh ē mia.

Denis Ferretti

12 maggio 2024, aurora boreale

La notte rossa

Mi sveglio e mi manca il fiato.
Sto a malapena in piedi. 
Non si ferma la tosse.
Esco e la notte… è rossa!

Han detto che è colpa del clima che sta cambiando, 
il cielo sembra stiasanguinando,
come i miei pensieri da anima derelitta
con le unghie e con i denti attaccati alla vita.

E’ la notte rossa e non me la sono persa, 
ma mi sembra che il mondo sia tutto al contrario.
Mi sembra che la vita sia una bugia
che pensi di averla, ma ti vola via. 

E’ la notte rossa,
rossa come una ferita, 
non si vede dove comincia,
sai solo che è infinita. 

Forse è solo una favola,
un sogno, una bugia 
come la mia vita 
che non so che cosa sia. 

A volte ho paura
che sia immaginazione, 
a volte ho paura 
che sia solo fantasia,
che un giorno ti alzi di buon’ora
e vedi che non ci sei.

 

CORRADO BAROZZI- 2° classificato

Èm piês la muntagna

Èm piês la muntagna parchè, piö at va sö,
e piö è vēn a mēno la gēnta.

Piö at va sö e piö è sparés chi chi gan paüra ad töt,
ad saltêr un fôs quand i dispiasēr it fan franêr la strêda,
da scalêr na parē c’le gnüda trop dréta a fōrsa ad šüntêreg ad i’ an,
paüra ad ciapêr un pō ad büfêra in t’la ghégna
quand è mónd èt sópia cuntra,
paüra d’un quèic dè ad giâs
quand la véta la blésga.

Èm piês la muntagna parchè,
piö at va sö,
e piö è gh’armâgn chi ch’is cuntēnten mia ad müfīr in mêša al növli
e i völen rivêr,
apôsta na matīna prêst,
in séma a na crásta,
par vadr’è sūl.

Èm piês la muntagna parchè,
piö at va sö,
e piö è gh’armâgn chi chi san che’s fa tanta fadīga a rampêr,
rampêr e rampêr,
par rivêr in séma a e munt,
apôsta  ad nôta,
par pruvêr, in pünta ad pè,
 a branchêr na strála.

Corrado Barozzi

 

 

Mi piace la montagna

Mi piace la montagna perché,
più vai su
e più viene a meno la gente.

Più vai su e più spariscono quelli che hanno paura di tutto,
di saltare un fosso quando i dispiaceri ti fanno franare la strada,
di scalare una parete che è diventata troppo ripida a forza di aggiungerci degli anni,
paura di prendere un po’ di bufera nella faccia
quando il mondo ti soffia contro,
paura di un qualche giorno di ghiaccio
quando la vita scivola.

Mi piace la montagna perché,
più vai su
e più restano quelli che non si accontentano di ammuffire in mezzo alle nuvole
e vogliono arrivare,
apposta una mattina presto,
in cima ad una cresta,
per vedere il sole.

Mi piace la montagna perché,
più vai su e più restano quelli che sanno che si fa tanta fatica a salire,
salire e salire,
per arrivare in cima al monte,
apposta di notte,
per provare, in punta di piedi,
ad abbrancare una stella. 

La poesia Èm piês la muntagna è letta dall’Autore

 

45° PREMIO DI POESIA DIALETTALE “LA GIAREDA” 2024

Comune di Reggio Emilia

 

Il giorno 7 settembre 2024, nell’ambito della festa della BV Madonna della Ghiara e sagra di Reggio Emilia, si  sono svolte le premiazioni del tradizionale concorso di poesia dialettale. Riportiamo qui il testo della poesia seconda classificata scritta e recitata dal nostro amico Corrado Barozzi di Baiso. 

CORRADO BAROZZI- 2° classificato

Se s’armâgn sül e’ silēnsi


Se s’armâgn sũl e’ silēnsi
l’è parchè al nostri paröli
an gh la chêven piö a parlêres.
È ghè stê un tēmp
ch as paschēven ogni minüt
al nostri paröli
e as brasēven insàm, cm’è i clūr d’un pitür,
par ténšer la véta.
Dal nostri bóchi al nasīven
al nostri paröli
eas’asmarcěven,
e’ tu šâl pr’e’ nôster sül,
e mè blő pr’e’ nôster ciễl
ee vērd, su fiöl ch’egh nasīva,
pri nôster prê.
E’ tu biânc pr’avisêr che rivēva na nõvla,
è mè rós par paüra che rivés un dulūr,
ee’ rosa, su fiöl ch’egh nasiva,
pr’e’ nôstr admân.
E’ pucēva in tőt i clür ad l’ânma,
e’ pnêl dal nostri parõli
ee’ pitürēva e’ nôster quêder,
bêl,
sēnsa bšógn d’na curnīša.
Adêsa e’ s’armâgn sül e’ silēnsi.
Parchè al nostri parõli an gl’a chêven piö a parlêres…

Corrado Barozzi

 

 

Se ci resta solo il silenzio

Se ci resta solo il silenzio
è perché le nostre parole
non riescono più a parlarsi.
C’è stato un tempo
che si cercavano ogni minuto,
le nostre parole,
e si abbracciavano insieme,
come i colori di un pittore,
per tingere la vita.
Dalle nostre bocche nascevano,
le nostre parole,
e si mescolavano,
il tuo giallo per il nostro sole,
il mio blu per il nostro cielo,
e il verde, figlio loro che ne nasceva,
per i nostri prati.
Il tuo bianco per avvisare che arrivava una nuvola,
il mio rosso per paura che arrivasse un dolore,
e il rosa, figlio loro che ne nasceva,
per il nostro domani.
Intingeva in tutti i colori dell’anima,
il pennello delle nostre parole,
e dipingeva il nostro quadro,
bello,
senza bisogno di una cornice.
Adesso ci resta solo il silenzio.
Perché le nostre parole non riescono più a parlarsi…

 

 

 

La poesia Se s’armâgn sül e’ silēnsi è letta da Corrado Barozzi

 

VIII CONCORSO DI POESIA 2024 
organizzato dal Centro Sociale Circolo Albinetano

 

A partire dal 2024, Léngua Mêdra ha iniziato una collaborazione con il Centro Sociale Circolo Albinetano, organizzatore di un partecipato concorso di poesia in lingua e in dialetto. L’ VIII^ edizione del 2024 si è conclusa con le premiazioni delle poesie vincitrici delle 4 sezioni in cui è articolato il concorso. Léngua Mêdra ha curato la sezione riguardante le traduzioni in dialetto di “poesie memorabili”.
Il premio è intitolato alla memoria del nostro caro amico e co-fondatore di Léngua Mêdra, Paolo Gibertini.

Di seguito i testi delle poesie classificatesi nei primi tre posti della graduatoria, con le relative motivazioni della Giuria.

 

Sezione Traduzione in dialetto di poesie memorabili

 
Andrea Gibertini consegna la Targa al primo classificato Savino rabotti

Primo classificato:

SAVINO RABOTTI 

per la traduzione di  “Pianto Antico” di Giosuè Carducci.
Motivazione della Giuria:

Possiamo dire che il lavoro di Savino Rabotti è un modello perfetto per essere utilizzato come esempio di ciò che va fatto quando si deve tradurre una poesia. “Pianto antico”, per il suo lessico familiare e presente nella nostra lingua parlata, si presta molto per una sua rappresentazione in lingua locale e potrebbe spingerci verso una semplice traduzione letterale con lessico un po’ scontato. Non facendo il passo più lungo della gamba, il nostro traduttore è invece riuscito a creare una versione “pressoché perfetta”. Con piccoli accorgimenti e lievi modifiche che non hanno cambiato di una virgola il significato esposto nella versione originale, è riuscito a mantenere tutte le rime presenti e si è uniformato alla metrica rigorosa di Carducci in modo altrettanto rigoroso, con estremo rispetto della grammatica locale, senza mai proporre espressioni che non potrebbero essere usate in un contesto normale quotidiano.

Va inoltre evidenziato il merito di una trascrizione grafica esemplare, precisa e coerente, con tutti i termini scritti come lo sarebbero su un dizionario. Chi legge ha l’impressione di trovarsi di fronte a un lavoro fatto con grande accuratezza.

 

PIANTO ANTICO

Cla piânta d’pùmb granâr
che, cun la tu’ manina,
a t’piašiva tânt sercâr,
cun i so bèi fiurtin rùs,
int l’ôrt abanduna

adès la s’è rgiulīda,
e šugn a l’ha nudrida
cun 1sûl e cun 1 calûr.

Ma te, fiûr d’la mi piânta
Scavsâda e fàtâ scâr
che d’la mi vita stânca
t’ êr l’ültme e l’ùnich fiûr

t’ê lì, int la tèra frèda
suta a la tèra scũra,
al sûl a n’t’ha pu’ in cûra,
e gnân t’dèšda l’amûr.

Traduzione di Savino Rabotti

PIANTO ANTICO 

di Giosuè Carducci

L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,

nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora,
e giugno lo ristora
di luce e di calor:

Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l’inutil vita
estremo unico fior;

sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.

Antonella Incerti, Presidente della Pro-Loco di Albinea consegna la Targa del 2° premio a Guido Sarzi

Secondo  classificato:

GUIDO SARZI

per la traduzione di “In piedi signori davanti a una donna”, di William Jean Bertozzo. 

Motivazione della Giuria: 

Al secondo posto nel gradimento della giuria, la traduzione di “In piedi, signori, davanti a una donna”, che qualcuno probabilmente in errore, ha attribuito a Shakespeare. Noi l’abbiamo confrontata con l’adattamento di William Jean Bertozzo e dobbiamo dire che il nostro traduttore, con un apprezzabile uso dell’anafora, è riuscito perfettamente a dare al componimento un bel ritmo che riproduce in modo fedele lo stile utilizzato nella traduzione italiana. Si nota in ogni caso una grande padronanza del dialetto e una certa confidenza nella scrittura: fa uso degli accenti solo in caso di assoluta necessità, ma sempre in modo corretto.

IN PÉE SGNŌR ÃD FRÛNT A ‘NA DÒNA 

In pée
in pée, sgnõr, davanti a ‘na Dòna,
pder tótt j abûš cumpí adôs a lē.
per ägl’j; umiliasiòun ch’l à soportèe,
per còll só côrp ch’i sfrutèe
per I’inteliginsa ch’î murtifichèe
per l’ignuransa in do l’i tgûda
per cla bòca ch’i més a tašèir
per la só libertèe che gh’î neghèe
per al j êli che gh’i simèe
per tótt còst
in pée sgnõr davanti a’na Dòna.
E se incòra äl n é mia abasta,
alvêv in pée ògni volta ch’ l av guêrda I’ânma
perché lē la sà cme guarderla e ferla canter.
In pée, sèimper in pée
quând I’eintra ind la cambra e tótt luzéss d’amõr
quând l’a’v carêsa ‘na lóšga cm’ē fà ‘na mêdra a un fiōl!
Quând l’é in silèinsi
la lòga int al só dulòur
la só turmintòuša vòja ed volêr.
Ä n serchèe ed dêreg curâg
quând ägh câsca tótt dintòuren.
No, basta sòul sèdres d’arèint a lē
e sptêr ch’a’s chiêta al só cõr
che al mònd al torn’a girêr
‘e alöra vēdrî ch’la srà lē la préma
ch’la ve slounga la mân per alvêrov da la tèra vêrs al cēl.
vêrs còl cēl universel
padròun dla só ânma
da dóve la’n prî mai s’cianchêr
per còst in pée
in pée
davanti a’na Dòna

Traduzione di Guido Sarzi

 

IN PIEDI SIGNORI DAVANTI A UNA DONNA

di William Jean Bertozzo

In piedi,
in piedi, signori, davanti a una donna,
per tutte le violenze consumate su  di lei,
per le umiliazioni che ha subito,
per quel suo corpo che avete sfruttato
per l’intelligenza che avete calpestato
per l’ignoranza in cui l’avete tenuta
per quella bocca che le avete tappato
per la sua libertà che le avete negato
per le ali che le avete tarpato
per tutto questo
in piedi, Signori, in piedi davanti a una Donno.
E se ancora no vi bastasse,
alzatevi in piedi ogni volta che lei vi guarda l’anima
perché lei la sa vedere
perché lei sa farla cantare.
In piedi, sempre in piedi,
quando lei entra nella stanza e tutto risuona d’amore
quando lei vi accarezza una lacrima,
come se foste suo figlio!
Quando se ne sta zitta
nasconde nel suo dolore
la sua voglia terribile di volare.
Non cercate di consolarla
quando tutto crolla attorno a lei.
No, basta soltanto che vi sediate accanto a lei,
e che aspettiate che il suo cuore plachi il battito
che il mondo torni tranquillo a girare
e allora vedrete che sarà lei la prima
ad allungarvi una mano e ad alzarvi da terra
innalzandovi verso il cielo
verso quel cielo immenso
a cui appartiene la sua anima
e dal quale voi non la strapperete mai
per questo in piedi
in piedi
davantia a una donna.

Federica Franceschini, direttrice della Biblioteca comunale "Pablo Neruda" di Albinea consegna la Targa del 3° premio a Lena Catellani

Terza classificata:

LENA CATELLANI

per la traduzione di “Ode al pane”, di Pablo Neruda. 

Motivazione della Giuria: 

Attingendo a un lessico di uso comune, senza uso di arcaismi e senza voler evidenziare la tipicità locale ad ogni costo, ma allo stesso tempo senza forzare la lingua in direzione opposta con calchi dell’italiano e tentativi di costruire un registro elevato, trasmette comunque l’idea di un linguaggio ricco e appropriato. Unico neo: non è stata tradotta l’intera poesia, ma solo un estratto di essa: la versione completa sarebbe molto più lunga. Tuttavia, la parte tradotta raggiunge comunque una dimensione paragonabile a quella di molte altre poesie presentate ed è comunque sufficiente a evidenziare la capacità della traduttrice di produrre una pregevole trasposizione in lingua locale. Il nostro invito è senz’altro quello di porsi l’obiettivo di completare l’opera con una sua traduzione integrale.

 

CANT P’RAL PAN

[…]Ed tớt al mèr e la tèra faròm dal pân,
lavuraròm a furnmèint la tèra e j’ aster.
al pân ed tôt’ al bòchi
ed tôt j’ óm
tôt i dé
al rivarà perchè a sōm andể semnèrel
e a médrèl mia sōl p’r un óm
mó per tôt,
al pân, al pân
per tôt i popôj dal mònd
e cùn al pân tôt cól ch a gh à la so forma e savõr
a spartiròm:
la tèra,
la belèsa,
l’amōr,
tōt cos’ chè
al gh à savòr ‘d pân.
[..]

Traduzione di Lena Catellani

ODE AL PANE

 di Pablo Neruda

[…]

Del mare e della terra faremo pane,
coltiveremo a grano la terra e i pianeti,
il pane di ogni bocca,
di ogni uomo,
ogni giorno
arriverà perché andammo a seminarlo
e a produrlo n0n per un uomo
ma per tutti.
il pane, il pane
per tutti i popoli
e con esso ciò che ha forna di pane
divideremo:
la terra,
la bellezza,
I’amore,
tutto questo ha sapore di pane.
[…]

 

Sezione poesie in dialetto 

 

Primo classificato:

CORRADO BAROZZI, per  “T’ē stêda e’ rés ad na castâgna”

 

 

T’Ē STĒDA E’ RÉS AD NA CASTÂGNA

T’ē stêda e’rés ad na castâgna,
caschê na nôta ad sirôch
dal brôchi ad tu mêdra,
i sö brâs,
in mêša al fői sáchi ad la me véta.
Pr’ün cme mé,
che, in amūr, e’caminēva sēmper daschêlsa
e piö d’na võlta l’iva ciapê di scapüsūn,
gnīret atâch l’era un rīšegh.
E gh ēra da furêres la chêrna e l’ânma.
Ma sūl parchè t ēr ancóra stréca.
Ašērba.
E. na bêla matīna,
e’ sūl delichê d’Utóber
e’t’à avērt na carpêda intla gösa,
par fêr váder, a e’mónd e ai mē ôc,
cma t’ēr dēnter.
Fâta mia par pőnšer
ma par difánder e regalêr i tö früt.
E, alūra, am sũn avšinê.

Corrado Barozzi

 

SEI STATA IL RICCIO DI UNA CASTAGNA

Sei  stata il riccio di una castagna,
caduto una notte di scirocco
dai rami di tua madre,
le sue braccia,
in mezzo alle foglie secche della mia vita.
Per uno come me,
che, in amore, camminava sempre scalzo
e più di una volta era inciampato con l’alluce,
venirti vicino era un rischio.
C’era da forarsi la carne e l’anima.
Ma solo perché eri ancora chiusa.
Acerba.
E, un bel mattino,
il sole delicato d’Ottobre
ti ha aperto una fessura nel guscio,
per far vedere, al mondo e ai miei occhi,
com’eri dentro.
Fatta non per pungere
ma per difendere e regalare i tuoi frutti.
E, allora, mi sono avvicinato. 

 

Secondo classificato:

DOMENICO BONIBALDONI, per “La tramogîa, al sâch, al burât (forê)”

LA TRAMOGÎA, AL SÂCH, AL BURÂT (FORÊ)

La nostra Rešdora, šcosél bianch e bandāna
la š’mèt a šdašêr la parlēda noštrana.
In Italia(n) e in Dialèt
come Dante al cmandeva: š’cèt e nèt!
L’Accademia d’la Crusca la gà 500 àn apeina
la vol mia al romèl mo sol fiõr ed fareina!
Gira al burât, la rešdora la šdâsa
però ogni tant un po’ ed romèl al pâša.
La torna a šdašêr un po’ šconšolēda:
“mo alora chi ghê un buš in t’la rēda”!
Dopa tant ån al burât le frušt
e al lesa pašēr; rúšch e búsch:
Ster a ca de šcola, o da lavorēr, es diš:
“smart working” per giuštifichēr.
In dialét se d’gêva “fer fugasa”
e forê anca al š’daš, e al romèl al pâša.
Ghè pin murē, tùt esauri, es dis “sold out”
mo tut e šburlen per entrer, ninsõn la capi!
Dam l’indiris che et vin a catēr!
Lü um da al “target”, in do al vaghia a serchêr?!
Po ghe al facini che se s’ciamen “emoticon
ades esageròm dabòn!
inteligeinša “artificela” per quî chè gl’eva mia
i mandeven a serchêrla in Farmacia,
seinsa rišeta parchè la medšeina
la se s’ciaméva “scantareina”!
E quî che mandèven in un sĩt lontān
endeven mia in t’al “metaverso”, mo in t’al barbāca (n)
Per quĩ che et rompevēn al bali in continuasio(n)
adèsa le “stalking” la definišiō(n)
“Care giver” al pēr l’iniši d’na letra a na peršõna chêra
invici le vo(n) o una che et dãn na ma(n) in t’la vcêra!
“Femminicidio” uno šfregio a l’amõr
la parola le nova e la s’tã per orõr!
Pasa la crusca ghê un būs in t’al s’dâš
in do andomia a finīr de štē pâš?
Änca la fareina la fât i pišèt
in do andrani a finir Italian e Dialèt !!!

Domenico Bonibaldoni

setacciatrice di parole 4

Terzo classificato:

LUIGI MAGNANII, per “An n’ò mia vòia”

 

AN N’Ò MIA VÒIA

O San Peder c’at gh’ề al cèvi dal Paradis in man,
ormai sun vèc, at dag ragioun,
no gnir lè da Te, at mèe da capir,
an cat gnan `na stagioun bouna per partir…
An gnirom mia a tor in primaveira,
cun tot i fior ca g’ò in dal giardein,
al Paradis, mè, a gl’ò bèle che in tèra,
e po’ chè, a gh’è ‘n’arièta, chè se sta propria bein…
An gnir mia in istèe, San Peder mio,
percà sun via, un poʻ per vacansa, un pòo per curi,
tot anca Te soquant dė ed fèri, e sta cun Dio,
an ghè mia bisogn t’at tog tanti premuri…
Anc in autun, an stèret mia a tor prèsia,
tin presaint che a gò da vindmèr,
e po’, chè da nuèter a gh’è seimper d’la nebia,
e s’eg vèd poc, an vrès mia at’ t’an dès a incidentèr…
D’inveren po’ l’e pes ancòra,
cun la neiva a fa un fred da can,
an ‘stèr mia a riscèr … an gnir mia fòra,
Cun cla sagioun chè, as fa prest a ciaper un malan…
Però, vest che prema o dop as’ s’om da incuntrèr,
a Te dmand ed gnirom a tor meinter sun drè a durmir.
e a m’insogn toti al cosi beli
che in cal mond chè spol catèr…
Insoma, sa T’ oi da dir, peinseg a moten n prema ad partir..!

Luigi Magnani

 

NON NE HO VOGLIA

San Pietro che hai le chiavi del paradiso in mano,
ormai sono vecchio, ti do ragione,
venire li da te, mi hai da capire,
ma
non trovo nemmeno una stagi0ne buona per partire…
Non venirmi a prendere in primavera,
con tutti i fiori che ho nel giardino.
il Paradiso, io, l’ho già qui in terra
e poi qui, c’è un’arietta che si sta proprio bene.
Non venire in estate, San Pietro mio.
perché son via un po’ per vacanza, un po’ per cure,
prenditi anche Tu un po’ di ferie, e sta con Dio.
non c’è bisogno che tu ti prenda tante premure…
Anche in autunno, non prenderti fretta,
tieni presente che ho da vendemmiare, 
e poi, qui da noi, c’è sempre la nebbia.
ci si vede poco, non vorrei che tu ti andassi ad incidentare.
D’inverno, poi, è peggio ancora,
con la neve fa un freddo da cane,
non stare a rischiare … non venir fuori,
con questa stagione si fa presto a prendere dei malanni.
Però. visto che prima o dopo ci dobbiamo incontrare,
ti chiedo di venire a prendermi mentre sto dormendo,
e mi sogno tutte le cose belle che a
questo mondo si possono trovare,
insomma, cosa ti debbo dire, pensaci a modo prima di partire..