Il “distillato” del nostro bavól, contenente le sole parole esclusivamente arşâni, che pare non siano riscontrabili nelle province limitrofe.
Abbiamo comparato il bavól con i dizionari dei vicini dialetti e ci siamo consultati con due madrelinguisti di Parma e Modena.
In questo elenco, che è certamente incompleto e sarà da approfondire, ci sono alcune decine di voci, già tutte presenti nel bavól, qui raccolte in quanto termini propriamente reggiani, ovvero conosciuti e utilizzati precipuamente, se non esclusivamente, nella provincia di Reggio Emilia.
Alcuni di questi termini si possono trovare nei vicini dialetti parmigiano e modenese, ma non coincidono come significato o vi si allontanano in modo rilevante come grafia e/o pronuncia. Ad esempio: bēda significa bietola per tutti e tre i dialetti (o anche la seconda persona singolare dell’imperativo del verbo badare). Invece l’uso del termine per esprimere un forte tiro o un forte colpo assestato è solo e tipicamente reggiano, salvo più recenti “migrazioni” che per ora non ci risultano.
Questi vocaboli che non trovano, per ora, riscontro in altri dialetti, costituiscono veri e propri endemismi linguistici “nostrani“.
Ad esempio, un termine che noi reggiani sentiamo come vocabolo assolutamente normale, tanto da ricorrervi spesso anche parlando italiano è pòcc, ovvero “poccio” che, se detto di là dall’Enza o dal Secchia, quasi nessuno capirà. In italiano “poccio” esiste, ma con diverso significato (praticamente inutilizzato ed incompreso ai più).
Il nostro augurio è che termini come quelli del presente elenco, ed anche di tutto il bavól in generale, potessero in un qualche modo proliferare aggiungendone ogni tanto anche dei nuovi; una lingua per rimanere viva dovrebbe avere anche la capacità di evolversi e assorbire nuovi stimoli, creare nuove forme espressive, lasciarsi contaminare e, a sua volta, quando ne fosse capace, esportare qualche sua “invenzione”.